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Palazzo Chigi but make it school AU

Summary:

La pazzia dell'autismo.
I politici sono adolescenti a scuola e ne conseguono caos, disagi, risse e purtroppo ship omosessuali.

Notes:

Questa fanfic ci é uscita alle due di notte come meme . Adesso ci stiamo impegnando troppo.

Chapter 1: Prologo di questa pazzia

Chapter Text

Lore generale dei politici.

Di Maio: Twink babygirl, frequenta la 3° del classico, è trans e migliore amico di Giuseppe. Da grande vuole andare nel golfo persico a lavorare come economista. E' uno studente modello tranne in italiano, perché non sa i congiuntivi, infatti i suoi temi sono schifosi. Si prende sempre le cotte per i coglioni, e Giuseppe lo sgrida sempre per questo.
Se si impegna è malvagio, il resto del tempo lo passa a sgambettare sul letto come una ragazzina anime. E' estremamente omosessuale.

 

Salvini: Bocciato al classico in 2° per cattiva condotta perché ha tentato di asfaltare la prof. di latino. Si è trasferito all'agrario per poi venire nuovamente bocciato perché non si è presentato agli esami di recupero (era in val di Susa)
Argomento di conversazione base: le ruspe, la sua massima aspirazione è guardare cantieri con i vecchi. Lavora al pomeriggio al fast food Burghy per potersi comprare una ruspa (il capo l'ha minacciato più volte di licenziarlo perché lavora poco e parla molto, di ruspe).
E' migliore amico con Giorgia Meloni e in qualche modo anche con Berlusconi. Infatti è omotransfobico ma da ubriaco guarda gli uomini.

 

Renzi: Si è trasferito dal liceo economico sociale al classico in 2°, ma è rimasto amico con Elly Schlein che era con lui in classe. È molto cristiano, fa parte degli scout della scuola e si interessa di politica. Grande tifoso della Fiorentina.
Fa schifo in inglese e la sua pronuncia è terrificante.
Si ritrova in classe insieme a Conte in 5°, dopo aver richiesto un trasferimento di classe perchè lo bullizzavano. Ora però lo deve vedere ogni mattina oltre che in chiesa e in piazza per le partite di calcio, e infatti non lo sopporta già più.
Non ha neanche da distrarsi con le ragazze perchè non le guarda. (Non guarda nessuno).

 

Conte: Quello del classico, letteralmente. Perfetto in tutto ma ritardatario cronico, non sa in che ora e giorno vive. Odia Renzi, senza sapere bene il perché visto lo incontra sempre a messa, a calcio e  ora pure nella sua classe (sembra che lo stalkera). Gli piace il calcio, infatti è grande tifoso della Roma, mangiare e bere soprattutto birra. Ha uno scooter da tamarro (il suo lato terrone ogni tanto prende piede dentro di lui)
Supporta Luigi, visto che anche lui è bi. (Bi di birra vista quanta ne beve)

 

Schlein: Frequenta la 5°dell'economico sociale, le piace andare a correre e ogni singolo sport praticamente, fa volontariato nel comune alla proloco. Lì litiga sempre con la Meloni e spesso loro due fanno risse fuori scuola. Inoltre ha una moto tutta figa ( L'ha comprata nella sua lesbian butch era).
E' amica con sia Renzi che Conte e li picchia entrambi perché sono stupidi e non capiscono che si amano (gay, gayy), infatti li shippa in modo non troppo silenzioso. É bi anche lei.

 

Meloni: Frequenta la 4° al turistico, è la migliore amica di Salvini e si conoscono dalle medie.
Fa spesso battute sporche e parla sempre di cibo perché gli piace cucinare (è una donna aggressiva casalinga esaurita a forza di far da madre a Matteo). Anche lei va sempre in chiesa dove vede Renzi e Conte (le sale l'omofobia, e anche qualche santo) Non le piacciono assolutamente le donne, ma vorrebbe sbattere la Schlein (Perchè è troppo cool ma è comunista quindi hell nah, la odia)

 

Berlusconi: Ventottenne un po' mafioso e ricco sfondato, lavora ovunque ma non lavora davvero. Non fa mai un cazzo se non andare in giro a vantarsi, infatti ha l'auto figa. Va a prendere Salvini e la Meloni a scuola e gli dà i panini (è come se gli facesse la carità perché sono plebei e lui è il più pisellone di tutti). Come li conosce? Non si sa, ma ora li porta in giro ovunque come se fossero i suoi Minions, e li supporta nelle loro azioni malvagie. Ai genitori non piace perchè dà il cattivo esempio ma i suoi soldi li vogliono quindi va bene comunque.

Chapter 2: Capitolo I: Botte e risse

Summary:

Iniziano i casini
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Notes:

Potete trovare questa fanfiction anche su wattpad :P
P.S. su wttp ci sono in più anche i soprannomi che i vari personaggi si danno, appena scoprirò come si fa li posterò anche qua T-T
~(dal gestore dell'account) M

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

 "Brutta idiota!" urlò una voce possente e femminile davanti al istituto turistico in una cittadina vicino Roma.
"Eccola la comunista!" Rispose un'altra voce quasi gongolando. "Non è colpa mia se ieri non ti sei presentata alla riunione"
"Ho anche altre cose da fare, non come te che non fai mai nulla a parte cucinare e lamentarti!" la accusò.
"Almeno so fare la donna a differenza tua!"
"Beh da una che fa di cognome Meloni non mi aspetto altro" disse la mora. A quel commento Giorgia le saltò addosso con furia.
Una folla enorme circondava due ragazze , le quali silhouette si intravedevano a mala pena per la troppa foga con cui si picchiavano. Veloci e feroci come animali, non si fermavano nemmeno per insultarsi con parolacce di ogni tipo, santi e non. La calca osservava con interesse, tifando e applaudendo a ogni pugno sferrato; d'altronde erano pagati per fare quello. Sembrava che non accennassero a smettere, quando dal pubblico si fece largo un ragazzo più grande. Di fretta, ma con eleganza, si fiondò nella rissa per separare le parti. "Elly smettila! É immaturo da parte tua, non abbassarti ai suoi livelli" facendo riferimento alla donna dai capelli biondi con cui si stava scannando. Le sue mani le tenevano lontane l'una dall'altra, nel tentativo di calmarle. "Peppe stai zitto!", ma il ragazzo non la ascoltò e la spinse via da quel teatrino.
La stringeva stretta per la mano, ignorando le continue lamentele, noiose e ripetitive, della ragazza fino a quando non raggiusero il parcheggio lontano scuola. Qui si voltò per affrontarla
"Elly, non potete attaccarvi ogni qualvolta vi vediate e anche quando non lo fate, sia alle riunioni che fuori. Sei più grande di lei, e più intelligente, dovresti dare il buon esempio."
Elly sbuffò roteando gli occhi, e si scostò i capelli scompigliati, per via della litigata, dalla faccia. Subito Giuseppe intervenne per sistemarglieli con cura. "Senti Peppe, tu non c'entri nulla, non sai cos'è successo" replicò Elly, allontanandosi dal tocco dell'amico con uno sguardo scazzato.
"Posso immaginarlo visto che succede quasi ogni giorno, cuore"
"Quella donna, un giorno o l'altro, mi farà impazzire" disse come se il ragazzo non avesse parlato affatto.
Lui sospirò, sapendo che non sarebbe riuscito a sbrogliarla, né con le buone né con le cattive. "Senti va', evitiamo un'altra scenata, torniamo a casa e ne discutiamo lì con calma." Cercò un approccio diplomatico, riuscendo a scucire solo un altro sbuffo dalla sua amica che lo seguì controvoglia al suo motorino. Giuseppe tentò di salire alla guida ma dovette cedere il posto a Elly con sua grande costernazione. Ci teneva estremamente a quel motorino, era il suo piccolo, e non si fidava a lasciarlo nelle mani di altri. Tuttavia non osò ribellarsi alla sua amica, siccome la temeva sotto sotto. Docilmente decise di salire dietro e stringere, pregando, le braccia attorno al corpo davanti a lui, sperando di arrivare a casa tutto intero. Le strade del sud quasi gli mancavano quando alla guida saliva una Elly Schlein incazzata.

Nel frattempo, davanti a scuola la folla si era dispersa rapidamente allo stopparsi della rissa e la bionda, Giorgia, era stata lentamente raggiunta dal suo amico Matteo che ora la guardava con espressione confusa, come al solito insomma. Aveva udito da lontano le urla, mentre la cercava dopo scuola.
"Cosa guardi te, con sta' faccia?" Chiese lei con fare scazzato al ragazzo che saggiamente decise di tenere la bocca chiusa. Per fortuna, quell'aria pesante venne spezzata dall'arrivo di una scintillante Ferrari 575, nuova di pacca, appena uscita nelle concessionarie. I due studenti salirono, senza una parola, sulla macchina che ripartì rombando l'istante dopo.
"Allora, cosa avete combinato ragazzi?" Chiese il guidatore, niente meno che Silvio Berlusconi, signorotto milanese che, seguendo il volere del padre, si trasferì a Roma per seguire gli affari di famiglia anche fuorisede.
Approfittò della pausa per accendersi una sigaretta dall'aspetto costoso. Ovviamente era costosa, sennò che gusto c'è a fumare sigarette per poveri?
"Giorgia ha fatto rissa con Lelly Kelly" Enunciò Matteo mentre si grattava la guancia coperta da una leggera peluria. Nonostante i suoi quasi 20 anni, ancora non era riuscito a farsi venire una barba completa, a parte un terribile pizzetto scarno.
"Quella comunista demmerda è venuta a lamentarsi delle votazioni di ieri alla proloco." Subito si lamentò la bionda, sbuffando infastidita "Se manco si è presentata sono cazzi suoi, mica miei, eh che palle"
Le labbra di Berlusconi si contrassero in un ghigno visibile nello specchietto retrovisore e accelerò spingendo sul pedale, facendo quasi sbandare l'auto davanti. "Vi porto a mangiare, così te recuperi le energie che la sinistra ti ha fatto consumare."

I locale era un posto in centro città sulla strada principale con le sedie perfettamente foderate in un tessuto a fantasia verde e con lampadari alla moda. Ovviamente uno tra i più lussuosi, i soldi non mancavano mai.
Silvio, con un gesto della mano indirizzò un cameriere a servirgli un drink e successivamente anche dei panini dall'aspetto tanto delizioso quanto costoso. Matteo, nonostante essere stato molteplici volte in quel posto, ancora si sentiva fuori luogo. Magari perchè aveva addosso una camicia a fantasia hawaiana, a differenza del suo amico che era elegantemente vestito con una camicia di seta nera che fasciava perfettamente il torso muscoloso e una cravatta allacciata strettamente. Si dimenticò presto i suoi problemi non appena arrivò il cibo, e felicemente si mise ad addentare il panino che gli spettava, con grande gioia del suo stomaco brontolante.
"Dunque, cosa voleva quella comunista lesbica della Schlein?" chiese Silvio rivolgendosi a Giorgia con tono di scherno mentre si levava i guanti di pelle da guida sportiva. La ragazza tentò di parlare a bocca piena veramente poco elegantemente e finemente, tale quale era.
"Ma nulla, quella rompe sempre. Si lamentava che le sue proposte non sono 'mai ascoltate', e che il consiglio è 'completamente venduto'. Ti dico io che quella si fa di erba, e neanche di buona qualità"
A quelle parole Silvio fece un sorrisetto malizioso: ovviamente era di scarsa qualità, gliela vendeva lui. Sventolò la mano di disinteresse: "Non ti curare delle parole di quella, Giorgia. E' di sinistra, ovviamente cerca il complotto in tutto. e glielo hai dimostrato facendo vincere la tua proposta al posto della sua in proloco. E tu Matteo, rallenta con il mangiare, sennò soffochi. E ti stai sporcando il mento" disse con superiorità, l'accento milanese chiaro nella sua pronuncia. Insomma, un riccone in tutto e per tutto.
Giorgia annuí e, per qualche minuto, ci fu' silenzio interrotto solo dal muovere delle mandibole.
Il resto del pranzo passò con piccoli aneddoti stupidi volenterosamente raccontati da Matteo, intervallati da qualche sclero della bionda ancora fissata sulla sua nemica. Forse ci stava pensando un pò troppo, ma chi può giudicarla?

Notes:

Questa pazzia ci é uscita alle 2:00 di notte.
nel frattempo, real footage di com'è andata la rissa: https://vm.tiktok.com/ZNd8hpwa1/

Comunque il capitolo non è lunghissimo, ma i prossimi saranno più pieni ;)
~con amore G e M

Chapter 3: Capitolo II: Giornate soffocanti e tem(p)i turbolenti

Summary:

Una tipica giornata di scuola di Gigino e Peppe.

Notes:

Questo trash ci sta consumando UwU

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Farsi largo tra gli studenti era cosa difficile al mattino. La calca era troppa, gruppetti di persone che parlavano, ridevano e scherzavano, altri che ripassavano con disperazione le materie di verifica. Il panico generale tipico della scuola, che faceva piangere gli alunni.
Di Maio cercava solo il suo amico in mezzo a tutta quella gente: era come cercare un ago in un pagliaio. Il libro di grammatica italiana fra le sue braccina se lo teneva sempre ben stretto a sé come se fosse il suo tesoro.
"Mi scusi. Permesso" Ogni volta che sfiorava qualcuno nel corridoio, innocente come un bimbo. Era solo un po' nano rispetto agli altri, ma la sua corporatura a stuzzicadenti non aiutava. Il corridoio per lui era un flipper: gli spintoni che si prendeva spesso erano involontari, altre erano apposta. Le prese in giro erano all'ordine del giorno, le risatine si diffondevano sulla bocca e le occhiate disgustate non erano una novità.
Del suo amico non c'era traccia, sperava di trovarlo al più presto possibile perché restare da solo era un rischio che non voleva correre. Abbassò la testa sul pavimento quando incontrò per sbaglio lo sguardo di un ragazzo carino.
All'angolo voltò a destra. I suoi occhi studiavano il luogo dove si stava per addentrare: il corridoio delle aule di italiano. Il lunedì mattina non c'era mai bella gente da quelle parti, ma si fece coraggio.
Lì in fondo, appoggiati al muro scolorito, le loro facce da culo: i suoi bulli. Lo avevano preso di mira da quando aveva iniziato il primo liceo ed erano le persone più razziste, omofobe e transfobiche di tutto l'istituto. Non l'avevo ancora notato per fortuna, Gigi fece in tempo a voltarsi velocemente e scappare.
Il suo naso sbatté contro qualcosa di strano, duro ma soffice e caldo. Cazzo, era una persona! Un bullo? O anche uno dei tanti che lo guardava male? Non si mosse nemmeno di un millimetro, mentre un certo e familiare panico gli saliva in corpo.
"Luigino eccoti!"
Luigi alzò lo sguardo e incontrò i grandi occhi castani di Giuseppe che lo fissavano confusi dal suo comportamento. Il ragazzo sembrava veramente poco allegro, grandi occhiaie si posavano sui suoi lineamenti come se avesse bevuto almeno 10 birre il giorno precedente.
"Peppe!" esclamò allegramente Gigi.
"Ti stavo cercando" enunciò con un tono monotono e frustrato, mentre lo acchiappò per il braccio trascinandolo dietro di sé con facilità.
"Giuse’” iniziò, il suo nervoso “anche io ti stavo cercando", I suoi pensieri si spostarono subito al tema che aveva poco tempo dopo, a come sarebbe morto d’infarto quando consegnerà le tracce.

 

Giuseppe sbuffò come se non l’avesse sentito affatto e già si poteva capire il fastidio che stava provando in quel momento per solo dio sa cosa. Ignorò completamente le sue parole, le suo orecchie ovattate da un profondo odio.
Luigi provò nuovamente a parlare: ”Senti Peppe, dovresti davvero aiutarmi. Vedi, io ho un tema-”. Non fece in tempo a concludere la frase che l'amico lo interruppe, sovrastando la sua voce flebile: ”Non ne posso più! Quell’uomo mi ha davvero stancato e non posso credere di doverlo sopportare anche stamattina!”
Il ragazzo si sentì disorientato da quel brusco cambio di discorso: ”Scusa ma di chi stai parlando?”
“E’ ovvio no? Di quel ciarlatano di Renzi ovviamente!” lui sputò fuori, iniziando a gesticolare con foga, “ma riesci a credere che ieri ha avuto la faccia tosta di presentarsi al campetto con la sua squadra, pretendendo di allenarsi? Lo sapeva benissimo che c’eravamo noi, diavolo se lo sapeva, i turni sono sempre gli stessi da anni. E invece no, il signorino voleva che dividessimo il campo in due. Ma dico io, come si permette di atteggiarsi in questo modo saccente, ed è sempre peggio! Prima era solo la domenica e le partite, ma adesso, da quando è in classe con me, ogni settimana è un duro calvario-” dal quale ruzzolava sempre giù.
Gigino sospirò ancora più esausto. Le lagne aumentavano ogni ora, insieme agli originali insulti che il ragazzo si inventava sul rivale. Si ricordava fin troppo bene quel fatidico giorno, segnato nella sua testa come “l’inizio della fine” del suo migliore amico.

Quella calda mattinata, tipica dei primi di settembre, Giuseppe varcò la soglia di scuola inspirando profondamente come rinato. L’estate pareva avergli fatto bene, la sua faccia aveva una buona cera, le guance lievemente rosse per colpa del Sole. I suoi occhi vispi non erano contornati dalle solite occhiaie, che li circondavano per buona parte dell’anno scolastico. In fondo, gli era mancato quel posto durante le vacanze, i suoi amici e compagni di classe, alcuni prof simpatici, ma anche la sua aria.
Tra l’altro sarebbe stato il suo ultimo anno da studente, voleva goderselo a pieno. Colmo di buoni propositi, si sarebbe impegnato a pieno nei suoi studi e compiti, nelle relazioni sociali, ma soprattutto, decise di prenderla con filosofia e tranquillità.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni: Luigi gli aveva mandato un messaggio, per fargli sapere dove lo stava aspettando. Con il sorriso ancora sul volto, si diresse per i corridoi al luogo pattuito per incontrare il suo amico.
L’atrio era pieno di studenti che creavano un brusio continuo, e si scontrò più di una volta con altre persone nella densa massa, ma non perse mai l’espressione felice come se nulla potesse rovinare il suo umore. Questa allegria dal suo volto, però, sparì in fretta non appena varcata la soglia della sua classe, il ragazzo vide un corpo fin troppo conosciuto. Gli fuggí un: “che diavolo!?” facendo voltare l’altro. Non era niente poco di meno che Matteo Renzi, suo eterno nemico, sia sul campo da gioco che fuori da esso, in scontri che portavano sempre ad aspre discussioni.
I suoi capelli sempre perfetti, il suo fisico alto e asciutto, quella faccia da bambino. Giuseppe non poteva che odiare tutto di lui.
“Conte, ciao.” disse Matteo con tono pacato, ma freddo. I suoi occhi gelidi lo fissavano come se fosse l’essere più noioso e triste al mondo. Lui sentì la sua stessa bocca piegarsi in una smorfia scioccata: ”E’ uno scherzo vero?”
Matteo lo fissò con espressione ora ostile: “No, e credimi che non l’ho chiesto io. Ho scoperto stamattina che mi avevano destinato qui.”
Giuseppe strinse le labbra e, con un sospiro affranto e già esausto, lo lasciò perdere, almeno per questa volta. Non voleva che un tale buzzurro rovinasse il primo giorno di scuola: “Bene, ma sappi che sono completamente contrario alla tua presenza qua”
“Il sentimento è reciproco, Conte.” replicò Matteo senza perdere un colpo.
La giornata fu uno strano mix di emozioni per Giuseppe, che si ritrovò più di una volta a scrutare il suo nemico attraverso l’aula, quasi a volerlo incenerire solo con lo sguardo. Era una terribile distrazione, come una mosca che ti ronza nell’orecchio quando stai cercando di concentrarti, o qualsiasi cosa brutta riconducibile agli insetti o al fastidio.
E con questi pensieri che alla domanda di Luigi, “Com’è andato il primo giorno?”, rispose subito con un’occhiata di puro scazzo, mentre lo seguiva fuori scuola: “No. E questo è sufficiente” alla faccia confusa del più giovane.
Non approfondì ulteriormente la faccenda, solo la sua testa sa perfettamente cosa successe.

Luigi tornò in sè solamente al suono della campanella, rendendosi conto di aver ignorato tutta la sequela di lamentele del suo amico. Non era dì per sé importante, ma il tempo era scaduto e il tema di italiano lo stava aspettando,il panico lo stava mangiando.
“Peppe, aspetta! come faccio con il tema ora?” chiese quasi disperato. Giuseppe lo guardò confuso: ”Che tema?”
Il ragazzo sospirò capendo di essere impanato, fritto, e anche mangiato come un involtino primavera.
“Volevo chiederti una mano perché ho il tema di italiano in prima ora, ma tu avevi da parlare di Matteo” si passò le mani sul volto.
“In ogni caso, adesso è tardi. A dopo Peppe.” salutò l’amico senza il solito trasporto e si diresse sconsolato verso la sua aula di italiano come al patibolo, lasciando l’altro ragazzo in mezzo al corridoio, ormai silenzioso, da solo.

Nella pausa tra un’ora e l'altra, Giuseppe si sentì in dovere di chiedere com’era andato il tema all’amico. Lo aveva assillato talmente tanto con le sue lamentele che si meritava un premio per continuare a sopportarlo.
“Non penso bene. Ho scritto quasi due pagine, ecco.”
Il ragazzo fece una faccia triste: decisamente non prometteva bene. Una vaga sensazione di colpa si presentò nel suo stomaco, in modo molto spiacevole.
“Mi dispiace Gigino” riuscì a scusarsi con ragazzo più giovane, scartando distrattamente un panino al salame, impacchettato nella stagnola.
Luigi sorrise un poco, mentre entrambi si incamminarono verso le macchinette delle bevande. In qualche modo non si sentiva mai a posto a girovagare
tra i corridoi, come se ci fosse sempre qualcuno a fissarlo con disapprovazione. Questa volta, infatti, i suoi sensi avevano ragione.
Un gruppo di ragazzetti, in piedi dal distributore, si erano voltati notando il duo e subito uno di loro fischiò rumorosamente, facendo un ghigno da lupo che aveva appena avvistato la sua preda.
”Hey, Conte, ancora non hai cambiato la ragazza? Pensavo avessi migliorato i tuoi gusti, ma ogni anno torni con questa”. I suoi amici sghignazzarono alla battuta e Luigi si sentì arrossire, imbarazzato dai commenti poco carini, e prese a torcersi nervosamente i polsini del suo maglioncino. Ora sì che l'attenzione di tutti era rivolta su di lui, e l’area dei distributori è sempre densa di persone.
“Ma state zitti, imbecilli che non siete altro!” ribatté Giuseppe prendendo per il polso il suo amico e allontanandosi.
“Non ascoltarli, okay Luigi? Sono solo degli idioti.” lo consolò, non appena svoltarono l’angolo di un posto più tranquillo, cercando insistentemente il suo sguardo fissato a terra.
“Potevo difendermi da solo” rispose poco convinto con un tono angosciante.
Sospirò, sapendo che non lo pensava realmente: “Semplicemente non mi piace quando la gente ti tratta così. E quando ti parla con questi termini.” esitò un secondo “In ogni caso ringrazia che non c’era Elly, sennò a quest’ora li avrebbe già picchiati tutti.”
La buttò sul ridere per diminuire la tensione, riuscendo a scucire un piccolo sorriso tirato dal volto del ragazzo.

Quei sentimenti di disagio però, non abbandonarono il ragazzo per il resto del giorno. Per tutta la mattinata sentì come un mostro che gli divorava lo stomaco, la sensazione di essere profondamente "sbagliato". Tornare a casa di certo non migliorava la situazione. Ci aveva sinceramente provato a spiegare come si sentiva alla famiglia. Non era stata, tuttavia, ben accolta la cosa e, per quanto ancora non l’avessero sbattuto fuori di casa, non mostravano accettazione nei suoi confronti.
Le bende gli stringevano le costole in una morsa soffocante, aumentavano il peso che doveva portare ancora di più, come se quella stretta al petto rappresentasse anche ciò che provava dentro. Il clima caldo non favorì la passeggiata per la cittadina, verso la sua dimora. Abitava fuori dal centro e non aveva soldi per il bus fino alla sua palazzina, perciò molto spesso prendeva la bici. Sfortuna volle che quel giorno servisse al nonno per andare al mercato del martedì. Procedeva a testa bassa sui marciapiedi evitando lo sguardo di chiunque, e soprattutto dei suoi aguzzini. Avrebbe volentieri chiesto un passaggio a Giuseppe, ma in qualche modo era ancora in imbarazzo per essersi fatto difendere prima, proprio come una “donna in difficoltà". Scosse la testa per non pensarci, calciando un sasso lungo la strada per distrarsi finchè non intravide il cortile di casa in lontananza, che lo fece sospirare di sollievo. Ogni giorno la sfida era tornare a casa senza un livido.
Sbloccando la serratura della porta, notò che all’ingresso non c’erano le scarpe dei suoi genitori, ma solo quelle del nonno. Posò lo zaino in salotto, e percorse il corridoio in punta di piedi nel caso stesse dormendo. Entrando in cucina vide subito la sorellina seduta al tavolo a colorare un album da disegno, che lo fece immediatamente rallegrare.
“Ei piccola” disse con calore mentre le baciava i capelli. Lei si voltò immediatamente per farsi prendere tra le braccia.
“Fratellone, sei a casa!” lui sorrise e la baciò ancora una volta sul viso.
“Certo che sono a casa, mica potevo lasciarti senza pranzo, vero?”
La sorellina se ne stava accoccolata su un braccio, tenuta stretta a lui.
Si diresse al frigo per prendere la pasta al formaggio da far scaldare in padella, precisamente a fuoco lento.
Nonostante la giornata parecchio pesante, soprattutto emotivamente, riuscì a distrarsi mentre la bambina gli raccontava ciò che aveva fatto a scuola e della sua nuova amichetta: una piccola conquista per lei.
Magari potranno diventare buone amiche in un futuro.

Notes:

Sto cucinando qualche disegnino e, se li finirò, forse li metterò✌️
~M

 

P.S. alcune ship arriveranno più tardi e alcuni personaggi saranno solo secondari, mi dispiace😔

Chapter 4: Capitolo III: Sunday not really sunny

Summary:

Renzi e Conte si odiano ;)

Notes:

Questo capitolo credo sia quello che ci ha messi più in difficoltà, al meno per quanto mi riguarda. Diciamo solo che mi trovo meglio a scrivere di altri personaggi come Silvio (i luv himmmm X))) ), ma di certo non mi è spiaciuto scrivere di loro due. Penso che le prossime volte mi divertirò di più avendo in serbo molte cose e non come questo scritto che è stato molto random (non si andava mai avanti arghhhh).
~M

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Le campane della chiesa suonavano insistentemente richiamando a sé i fedeli, per riunirsi in preghiera sotto un’unica fede. Peccato che il loro suono segnava perfettamente le 11:15, un quarto d’ora dopo l’inizio della funzione. Masse di persone radunate che erano già dentro da un bel po’ ad ascoltare il parroco parlare e i cori cantare, stonando ogni tanto qualche nota.
Giuseppe corse a perdifiato per le strade del paese, sbuffando. Già percepiva come i capelli sarebbero stati scompigliati dopo quello. A casa aveva passato troppo tempo a sistemarsi la sua acconciatura e, ovviamente, riuscì ad arrivare tardi: era un ritardatario cronico.
In lontananza intravide la chiesa al fondo della piazza e rallentó per non entrare ansimando come un vecchio dopo una corsetta di due metri. Le gambe gli doloravano dai troppi tragitti che si era ritrovato a fare di fretta nell’ultima settimana. Si intrufolò dalla porta laterale per non attirare attenzioni altamente indesiderate, come gli anziani che gli avrebbero fatto la predica per star disturbando, e scivolò a testa bassa in un banco, il primo vuoto che notò.
Tentando di riprendere fiato non si accorse subito chi c’era vicino a lui.
Troppo vicino a lui, decisamente troppo.
Matteo Renzi.
Un nome, una certezza. Beh, una certezza di rottura di coglioni.
Provò goffamente a cambiare posto, cercando di stringersi tra due vecchi in un piccolo banco al fondo della chiesa. L’uomo gli lanciò un'occhiataccia e Giuseppe, gemendo internamente, dovette spostarsi nuovamente. “Ancora più imbarazzante di prima” pensò mentre si sistemava con cautela di fianco all’altro ragazzo, ignaro degli accadimenti.
A quel punto, quando ormai la sua dignità era scomparsa, non poté fare a meno di scrutarlo di sottecchi, in modo da non farsi sgamare.
Matteo fissava dritto davanti a sé, senza dare segnali di alcun tipo come se avesse i paraocchi e non lo avesse visto. Giuseppe sospirò internamente di sollievo: almeno una piccola gioia.
I capelli dell’altro erano, come sempre, perfettamente pettinati pensò, notando come sembrassero leggermente più mossi del solito. Gli occhiali gli davano una faccia da bambino, si disse tra sé e sé con un sorrisetto beffardo come a prenderlo in giro. Non si accorse di essersi concentrato troppo a lungo su Matteo finchè, in un attimo, il diretto interessato si accomodò sulla panca, accorgendosi della sua presenza.
Giuseppe si affrettò a sedersi anche lui, rendendosi conto di aver perso una buona parte della messa. Per tirarsi su il morale, iniziò a pensare a qualche caratteristica di Matteo che avrebbe voluto rimbeccargli volentieri.
“Quella camicia gli è un po’ grande, sarà sicuramente del padre.” sbeffeggiò nella testa storcendo gli occhi per scrutarlo nuovamente, di come la camicia gli pendeva sulle braccia vagamente, mentre invece gli fasciava alla perfezione le spalle.
“Maledetti gli zaini e maledetto ‘sto scout.” pensò distogliendo lo sguardo dalle spalle larghe del fiorentino. Si passò una mano tra i capelli, ricordandosi solo in quel frangente di aver corso e quindi di averli spettinati.
“Maledetto lui per distrarmi sempre, quel bellimbusto.” sbuffò sottovoce sistemandosi le ciocche sulla fronte.
Non si accorse però di come anche Matteo gli stava lanciando occhiate di sottecchi.
Per tutta la funzione, si sentì quasi urtato dalla presenza dell’altro di fianco a lui, e fu lieto quando finalmente finì, permettendogli di uscire e di allontanarsi da lì.
Fuori si fermò a salutare qualche vecchio, ma scappò quasi subito alla vista di Giorgia Meloni, perché onestamente non voleva minimamente fermarsi a salutare quella donna dai facili costumi. Gli bastava aver avuto il suo nemico di fianco per tutta la durata della funzione.

 

L’intenzione del ragazzo era, dopo pranzo, di andare al bar del paese e bersi una birra con la compagnia tranquilla dei suoi compagni di calcetto e aspettare insieme la partita che sarebbe stata messa in onda quella sera nel locale.
I suoi buoni propositi di un pomeriggio tranquillo furono infranti quasi subito quando, mentre passeggiava lungo il marciapiede dirigendosi al bar, si sentì tirare dal braccio dietro un incrocio con un vicolo chiuso e buio. Voltandosi contrariato, vide la faccia di Carlo Calenda che, oltre ad avere una passione per il contestare a calcio, ora ne aveva una tutta nuova: Gesù. No, ma aveva la passione del nucleare dopo aver ossessivamente letto materiale a riguardo, ovviamente di matrice complottista. Gli scrittori di quegli strani giornali sono sconosciuti e anche i mezzi con cui l’uomo se li procurava. Ora era normale vederlo per le strade o a scuola girare come un dipendente da droghe, ma il suo scopo era convincerti che il nucleare era la soluzione a tutti i problemi, anche quelli personali.
“Lo vuoi dell’uranio? Guarda che fa bene alle ossa” sibilò sventolandogli un cristallo fluorescente davanti alla faccia. Giuseppe tentò di allontanarsi quasi schifato, come se fosse un appestato nel 1500.
“No! Cosa diavolo è sta roba-”
“Guarda che ne ho uno uguale e ci faccio gli infusi la sera prima di andare a dormire e sto benissimo” Carlo si indicò con un sorriso da fatto completo e maniaco, veramente molto inquietante. L’altro ragazzo lo spinse nel vicolo e si allontanò all’indietro cauto, tornando sulla strada principale.
“Se stai bene come stai ora, allora siamo tutti in una botte di ferro” mugugnò mentre continuava per il bar. Ora voleva solo una bella birra, anche per dimenticare l’incontro appena avuto.

La fortuna però non era decisamente dalla sua parte quella domenica poiché appena entrato vide che era tornato il vecchio barista, Francesco Lollobrigida. Non gli era mai piaciuto quel tipo: era citrullo ed aveva una strana ossessione per il vino. Un giorno in pieno agosto, Giuseppe decise di passare per una birra fresca, il Sole lo aveva cotto, e una signorina giovane e molto carina era al suo posto. Non gli dispiacque neanche un po’ per l’uomo che, nel frattempo, si stava separando dall’amata moglie, per di più sorella maggiore di Giorgia Meloni.
Gemette internamente per la milionesima volta nella giornata e si avvicinò flemmaticamente al bancone.
“Salve, gradirei una birra” chiese sperando di non incontrare difficoltà con l’uomo un po’ demente.
“Birra?” chiese l’altro con una smorfia “Ma lo sai che la birra è anche fatta da acqua? L’acqua uccide sai?”
Eccallà, pensò Giuseppe, è impazzito più di prima. Già prima del divorzio non stava messo bene, ora era tre volte più cretino.
“Sì” ribadì stancamente “voglio comunque una birra”
“Ah. Questi giovani di oggi” lo sentì borbottare mentre gli versava un boccale “sempre più problematici. Ai miei tempi non si desiderava la morte”
Giuseppe si strofinò gli occhi mentre tirava fuori una banconota da 5€ per pagare.
Una volta riuscito a recuperare la sua benedetta mezza pinta, e aver eluso altri tentativi di complottismo dell’uomo, il ragazzo si sedette al solito tavolino che occupava con i suoi amici e compagni di calcio.
“Contro chi si gioca stasera?” chiese sorseggiando il primo sorso. Sospirò godendosi il fresco che essa dava alla sua gola. Sorso che gli andò di traverso al sentire la Fiorentina come risposta. Avrebbe molto probabilmente dovuto sopportare il brutto muso di Matteo Renzi pure la sera. Non era possibile che lo dovesse vedere in ogni frangente della sua vita, quel rompiballe. E se la sua grande Roma finiva per perdere oltre il danno ci sarebbe stata pure la beffa. No, no, non doveva pensarci. Doveva godersi un buon pomeriggio, e il problema considerarlo solamente al fischio dei minuti di recupero. Con grossi pugni che gli batterono sul petto, tentò di fare prendere il canale giusto al liquido.
Eccolo lì che entrava, il suo passo da borioso e arrogante il quale era. Si percepiva la sua aurea da superiore e tutte quelle arie che si dava passando con nonchalance davanti all’intero bar e i suoi clienti. I suoi occhi scrutarono tra le persone, la folla che stava aspettando con ansia l’inizio della trasmissione in TV, che incontrarono subito i suoi. La sua faccia impassibile che si contorse in una strana smorfia schifata, mentre scosse la testa ignorandolo: aveva deciso dal principio di lasciar perdere, come se non gli importasse di meno se l’altro fosse lì. Renzi che stava ignorando Conte. Come si permetteva quello stupido ciarlatano a ignorarlo? Sapeva benissimo che quel bar era suo territorio e non doveva avvicinarsi, invece si era comunque dato il permesso come se lo avesse invitato, o come se fosse effettivamente gradito. Beh non lo era, per niente, era l’essere meno gradito fra tutti. Il suo gruppetto di calcio era solito frequentare quel quartiere, precisamente nella periferia ovest di Roma: era un posticino tranquillo, senza troppi ragazzi rompiscatole, bimbi o bulli, fino a quando le “Bistecche” non decisero che bisognava condividere. Quindi, da circa un anno, trovano fra i piedi quegli stupidi che non fanno altro che tirarsela; passeggiare sulle strade che prima erano loro e calpestare l’erba del campetto che loro avevano pestato per primi, e della quale Elly andava pazza.
E, purtroppo, tutto riportava a questo sfortunato giorno in cui la sua squadra doveva per forza giocare contro quei gaglioffi toscani che manco sapevano colpire una palla dritta. Non avevano speranze di vincere contro la sua squadra e neanche il motivo di fare lo sbruffone atteggiandosi da villano.
Una risata fragorosa e beffarda si diffuse all’interno del pub, attirando l’attenzione della maggior parte dei tifosi che si voltarono nella direzione di provenienza che erano proprio le labbra di Conte. Un grande sorriso, falso come quel suo riso, che nascondeva una forte irritazione: la sua virilità da uomo dominante in qualche modo andava mantenuta.
“Sapevi che noi siamo i favoriti? Non possono sperare se non in un pareggio” ghignò al suo amico, praticamente urlando tranquillamente davanti a un buon numero di tifosi della squadra avversaria, guadagnandosi sguardi minacciosi.
Era riuscito ad attirare anche l’attenzione di Matteo, che gli lanciò una lunga occhiataccia imperscrutabile, un misto di frustrazione e disgusto, ma anche vergogna: distolse velocemente gli occhi dall’altro, facendo finta di non conoscerlo. Per fortuna era suo nemico, non avrebbe sopportato l’imbarazzo della situazione e l’aria elettrica e pesante di tensione.
Poco serve dire che Giuseppe ne rimase scombussolato, come se sperava in un qualche insulto o litigio. Durante l’intera giornata lo aveva dovuto sopportare senza potergli sputare in un occhio, neanche una spintarella piccola piccola per metterlo in riga. Niente di niente. L’unica cosa che poteva fare era starsene seduto in un angolo del bar, un boccale di birra tra le dita e la sua disperazione, provando in qualche modo a concentrarsi sulla partita. Il malumore era tanto come l’alcool che il barista vendeva.
Un’onda di eccitazione dai tifosi della Roma, urla di gioia per il primo gol segnato: un forte calcio e la palla volò direttamente in porta. Quell’anno i rossi e gialli erano alla riscossa, alle spalle una lunga serie di partite vinte. Peccato che Conte non poteva godersi a pieno quel piccolo momento di felicità, essendo già ubriaco e stravaccato sulla sedia. La sua unica reazione fu quella di alzare il bicchiere con un mugugno da bevitore seriale, prima che il braccio gli cedesse.

Al gol dell’ultimo minuto dei 90’ da parte Fiorentina, giustamente, il tavolo dove era seduto anche Renzi esplose di gioia e lui stesso si alzò urlando con le mani al cielo strette a pugno, per festeggiare. Giuseppe già di umore nero per le sorti della sua amata Roma, lo fissò con la morte negli occhi. Non aiutava certo che per buttare giù il malumore avesse buttato giù anche una quantità non indifferente di birre.
Al chè, quando Matteo si girò verso di lui e con un sorriso strafottente gli fece il gesto di sconfitta, lui si alzò e preso dalla foga del momento si diresse nella sua direzione.
“Come ti permetti” disse puntandogli un dito contro, e scivolando un po’ sulle parole a causa dell’alcol nel suo corpo. Aprì la bocca ma gli uscirono solo parole sconnesse “Siete solo dei scimuniti- scriteriati- uh” si impappinò e, per non far sembrare che non sapesse cosa dire, iniziò a picchiettare sul petto di Matteo ad ogni sillaba. Il ragazzo lo guardò incredibilmente offeso e gli spinse via il dito.
“Non ti permettere di toccarmi, lupetto” Lo apostrofò, e per tutta risposta Giuseppe fece un altro gesto da diva
“Ricordati che i lupi se le mangiano le bistecche” gli fece la linguaccia e Matteo sentì un forte bisogno di sbatterlo da qualche parte. Ma siccome lui era assolutamente un uomo di gran classe, alzò il mento con fare da signorotto so-tutto-io.
“Queste bassezze mi stupiscono perfino da te, Conte, ma forse ho sopravvalutato il tuo io. L’alcol d’altronde rende più sinceri, e deduco questo sia tu.”
Giuseppe spalancò la bocca a quelle parole “COme ti pErMetti, tu tra tutti poi, di farmi la predica. A te piace bere molto più che la birra” procedette facendo movimenti molto questionabili.
Con la differenza di altezza tra loro due, poi, il tutto era ancora più divertente.
“Quello che mi piace bere non è affar tuo” rispose l’altro colpendolo con la punta del dito sulla fronte. Giuseppe rimase scioccato una seconda volta e lo spinse leggermente all’indietro. Prima che potesse iniziare una rissa, vennero separati da un urlo gracchiante di un vecchio, che a quanto pare voleva solo guardarsi la partita in pace
“Ao, ve levate dai cojoni, o ve devo menà con il bastone?”
Era sì un vecchio rachitico, ma il bastone sembrava molto solido ed entrambi convennero che era meglio stare zitti, forse.
La partita finì 2-2 pari e una volta che il locale fu praticamente deserto, Giuseppe si risvegliò sulla sedia dove si era addormentato mezz’ora prima. Stropicciandosi e sbadigliando per andarsene finalmente a casa, il suo corpo decise che doveva andare a pisciare. Siccome il bagno del locale era una scelta troppo facile, pensò bene di farla fuori. Con passo barcollante spalancò la porta del bar e, una volta nel parcheggio fra le molteplici auto, tentò di tirarsi giù i pantaloni a fatica, facendo inceppare la zip nel tessuto. Una volta riuscito nell’impresa per lui titanica, si accasciò contro al muro, già troppo provato.
La luce fioca, proveniente dal lampione lì vicino, venne oscurata da una figura che, alzando a fatica lo sguardo, riconobbe come Matteo?
“Cosa vuoi?” biascicò strofinandosi la fronte confuso.
“Non farti dormire al freddo, idiota, anche se mi sto già pentendo di questo” rispose l’altro, tirando in piedi Giuseppe per il braccio, senza curarsi troppo del suo stato di salute.
Con l’altra mano, quella non impegnata a tenere in piedi un babbeo ubriaco, riuscì a prendere il telefono e immettere un numero familiare dalla rubrica.
“Ciao Elly, buonasera anche a te. Sì, lo so che ore sono, ma qua c’è un certo signorino di nostra conoscenza che sta per cadere da fermo. Fosse per me lo lascerei qui ma…-” si interruppe sbuffando, si stava lasciando sfuggire troppi dettagli, e dopo qualche altra battuta mise giù la chiamata.
“Fortunato che Elly non vuole lasciarti qua al freddo come farei io.” gli disse duro mentre l’altro praticamente gli si accasciava addosso con un sorriso da ebete, posandogli la testa sulla spalla.
Matteo fece una faccia schifata, sperando che non gli sbavasse sulla camicia pulita fecendo per voltarsi e brontolare: “Almeno stai su, razza di ubriacone".
Il volto dell’altro, però, era decisamente troppo vicino per i suoi gusti e distolse rapidamente lo sguardo, tentando di distrarsi da quella vicinanza eccessiva fino all’arrivo della loro amica comune.

“Eccovi finalmente, voi due scriteriati” esordì con molta calma Elly, scendendo dalla sua moto.
“Scriteriato lo dici a qualcun altro, non è colpa mia se questo qui” e diede un colpetto ad un Giuseppe morto al mondo per la milionesima volta, “non è in grado di tornare a casa da solo” concluse Matteo.
Elly roteò gli occhi: "Mi avete interrotto entrambi dalla mia maratona di Doctor Who, quindi sta zitto anche tu.”
Sospirò poi, togliendosi i capelli da davanti alla faccia.
“E ora sei pregato di aiutarmi a caricarlo sulla moto” il mezzo più sicuro per il trasporto di ubriachi.
Una volta assicurato il peso morto davanti a Elly sulla moto, lei si sentì in dovere di chiarire ancora una cosa: ”Sappi che ne riparleremo di tutto questo, possibilmente mentre sei un po’ brillo in modo da avere la versione sincera”.
Matteo quasi si sentì minacciato da tale affermazione e annuì semplicemente.
“Okay, ovviamente.”
E rimase a guardare la moto sfrecciare nella notte silenziosa.

Notes:

Scusate per il ritardo😣😣😣
siamo stati rapiti dalla scuola e da una certa cabina blu (palesemente il dottore ci ha rapito)
Comunque tenteremo di cibarvi al più presto possibile con altre perle, ne abbiamo già in serbo qualcuna ;)
~G&M

Chapter 5: Capitolo IV: Le notti insonni di due buzzurri

Summary:

Elly e Conte che giocano a carte di notte come due scemi

Notes:

Su wttp abbiamo messo delle piccole foto di Giuseppi ;)))))

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Era buio fuori, il Sole era scomparso ormai da un pezzo e la Luna se ne stava tranquilla nel bel mezzo del cielo, facendo capolino fra le nuvole. La città era vuota e fredda, il silenzio regnava nel piccolo paesino di periferia, dove la notte tutto pareva tacere. Solo poche auto avventuriere percorrevano ancora la statale che portava nella capitale poco distante, passando fra le palazzine addormentate. Il cartello verde della farmacia lungo la strada segnava le due meno cinque, oltre alle cure che offrivano e agli 8°C all'esterno.

Una sola e flebile lucina proveniva da un appartamento al penultimo piano, un palazzo isolato rispetto agli altri.

La televisione accesa trasmetteva lo stesso identico canale da tutta la serata, il volume al minimo. I due personaggi principali, Don Camillo e Peppone, stavano in quel momento litigando in chiesa. Insieme erano così simili agli abitanti di quella casa: uno incarnava la Democrazia Cristiana e l'altro il Partito Comunista. Oltre le differenze riuscivano ad andare stranamente d'accordo come amici.

Alcune bottiglie di birra vuote se ne stavano ai piedi del mobile, appoggiate o ancora rotolanti appena spinte via da una pedata. Un rumore di vetri e quelle si fermavano in un angolo della stanza e stavano lì per i giorni a venire, fino alle prossime pulizie di primavera o fino a quando non si sarebbero resi conto che vivevano nella sporcizia e nel caos delle loro menti disordinate.

"Giuseppe tocca a te" trillò la ragazza con una leggera risatina. Sapeva benissimo che alla mossa successiva, che aveva in mente di fare, si sarebbe beccata qualche insulto scherzoso. L'altro, però, non sembrava reagire, la mano stretta intorno a una delle tante bottiglie arancioni. Poi si sentì un sommesso russare e Elly sbuffò avvicinandosi a lui. I suoi occhi erano stancamente chiusi dopo l'ennesimo sorso, e la bocca leggermente aperta. La testa stava per ricadergli in avanti quando lei lo prese e lo scosse violentemente: "Peppe svegliaaaa! Renzi è gay!".

"CoSahhh?! Grrensci è moooorto?-" sbadigliò assonnato, stropicciandosi le palpebre con le dita. Una gocciolina di saliva gli era scesa dalle labbra, ma la ripulì in fretta. Lei era l'unica persona che poteva vederlo così scimmanato e così scomposto. I capelli spettinati gli ricadevano in faccia e non li sistemava come era solito fare.

"-era l'ora." finì la sua frase prima di essere abbastanza cosciente da comprendere l'affermazione dell'altra "Dovrebbe importarmi? Sono le sue scelte di vita"

"Dovrebbe importarti eccome, ora sai di avere campo libero con lui" la ragazza ghignò con presa in giro e Giuseppe si ritrasse quasi schifato come se le parole potessero effettivamente avere un qualche effetto malvagio su di lui.

"Ew no, che schifo! Tutti ma non lui perfavore" Dopo un lungo sbadiglio aggiunse: "E comunque non sono gay, per tua informazione." gli occhi si socchiusero leggermente prima di beccarsi un pugno sulla spalla che lo svegliò di soprassalto.

"Mi sembra un po' tardiva la tua negazione carissimo" ridacchiò con un sorriso, compiaciuta con sé stessa. Adorava fare arrabbiare l'amico, soprattutto con l'argomento Renzi, in cui c'era un fondo di verità del perché lo faceva. Conosceva entrambi bene e poteva ritenersi loro amica intima, anche se Peppe avrebbe preferito che non parlasse a quel ciarlatano, e aveva sempre trovato i loro due caratteri molto compatibili: avevano passioni e hobby comuni, entrambi avevano la testa sulle spalle e molti punti di conversione da approfondire.

Il bevitore seriale che, dopo aver ripreso le sue capacità cognitive la prima cosa che gli venne in mente fu di fiondarsi nuovamente su una birra piena, ora stava pescando dal mazzo caduto e mischiato male. Un ghigno maligno apparve sulle sue labbra mentre scrutava il suo ventaglio di carte, provando anche a nascondersi dietro quelle.

Un jolly con il quale completò la sua scala perfetta di cuori, dall'8 fino al Re rosso e impassibile.

"Posso dire che mi sono preso la mia rivincita, ma me lo ricorderò" ridacchiò il ragazzo, sbeffeggiando l'amica che prima aveva osato dargli dell'omosessuale. Cosa assurda per uno come lui che apprezza le belle donne e i loro atteggiamenti, quando flirtavano con lui al bar o anche solo passandogli davanti ammiccando. In poche parole: perfettamente eterosessuale.

"Sei semplicemente nell'armadio" affermò Elly mentre raccolse con foga le carte e iniziò a mischiarle insieme "Cosa mi dici di quegli uomini sexy che divori con lo sguardo da ubriaco, mh?"

"L'hai detto tu stessa: da ubriaco!" ringhiò sulla difensiva, un broncio offeso apparse sulle sue labbra.

"Da ubriachi si è più onesti."

"Stai provando in tutti i modi a farmi ammettere cose non vere solo per farti stare buona? Tu, lestofante e furba volpe."

"Il poliziotto mi sta accusando per il solo crimine di avergli dato del gay. Forse non sarà così male farmi arrestare dal ragazzo più gnocco del circondario."

"EWWW!" una manata da parte di Giuseppe bastò per far volare l'intero mazzo di carte dalla presa di Elly, che rimase interdetta a quella sua improvvisa reazione. Il compagno, ora, se ne stava rannicchiato in un angolo della stanza mentre l'amica stava per sbottargli addosso e obbligarlo a raccogliere una a una le carte con la lingua, sparse su tutto il tappeto. Non sarebbe stata un'impresa troppo ardua se solo l'intero pavimento non fosse cosparso di oggetti e immondizia che nessuno dei due aveva mai raccolto, troppo pigri o "superiori" per farlo.
"Giuseppe Conte, questi schizzi da diva" quasi tuonò la ragazza, gli occhi che lanciavano fulmini.

"Scusa, giuro che non lo faccio più." mugugnò, raccogliendo impaurito tutto il mazzo francese da 52 carte sotto l'attento sguardo angosciante. Di solito avrebbe lottato per il suo ego da uomo cis, ma Elly poteva essere spaventosa quando usava i nomi completi dato che prediligeva i soprannomi con i suoi amici.
"Ora non so più che figure avevo!" si lamentò lei cercando tra il mucchio che Giuseppe aveva recuperato, tentando furtivamente di appropriarsi di due jolly, ma lui la fermò.
"Non ci credo neanche se mi pagano che la metà dei jolly li avevi te."
"E invece era proprio così! Cazzi tuoi che hai sparpagliato le carte per terra."
"No, piuttosto rinuncio al bellissimo mazzo che avevo, perchè ovviamente era straordinario, e le mischiamo nuovamente."
"Seh certo, scommetto che avevi le peggiori."
Lui fece uno sbuffo con una certa prepotenza, aveva già ferito il suo ego fin troppo prima:

"Mescolo tu o io?"
"Tu hai dato l'idea carissimo, fallo pure te."
Giuseppe sospirò prostrato: "Va bene mi sacrifico io per stavolta."

"Bravo il mio tesoruccio!" lei tornò a scherzare e la faccia del ragazzo si contorse in una smorfia disgustata.
"Ew, smettila. E' quasi inquietante quando mi chiami così."

Elly ghignò mentre iniziava a distribuire le carte per l'ennesima partita.

Dieci minuti dopo era proprio lei ad avere un'espressione contrita sulla faccia: "Non è possibile che stai vincendo tu. Prima ti avrei stracciato, sappilo."
Giuseppe sfoderò il suo sorriso affascinante: "Ora chi è la diva?" chiese con un tono beffardo aprendo l'ultima scala e buttando la rimanente carta nella pila degli scarti, chiudendo così la mano e definitivamente la partita.
"Il mio fascino ti distrae troppo, lo so" ammiccò, scostandosi vanitosamente i capelli dalla fronte.
"Ora chi è l'inquietante?" la domanda era retorica.

Con una mossa degna di un lottatore di wrestling lo atterrò violentemente sul pavimento. Lui emise un urletto veramente poco virile e tentò di difendersi, mentre le carte volavano in aria.
"Elly! Cosa fai-" venne immediatamente zittito da una cuscinata sulla faccia. Poco è dire che la ragazza era decisamente più forte e palestrata di lui, che se ne stava al baruccio a guardare partite e ingozzarsi di alcool al posto di allenarsi.
"Ora chi è che vince eh?!" esultò scimmiottando il precedente sorrisetto vittorioso di Beppe.
"Okay okay, chiedo venia, mi arrendo" sapeva di non avere nessuna possibilità contro di lei in una lotta di cuscini.
L'amica, finalmente, si scostò da lui liberandolo dal suo peso per accomodarsi ordinatamente sulla poltrona, con un sorriso di scherno stampato sulle labbra: "ahah, femminuccia."

"Ora chiamo io il carabiniere per violenza domestica." borbottò lui lamentoso.

"Aww, vuoi fare la principessa che viene salvato dal principe?" Elly si divertiva troppo a percularlo.
"E poi sei tu quella che lotta agli stereotipi" sbuffò tentando di riprendersi. Si sentiva molto un signore di mezza età alle prese con un coniglio preso male scappato dai laboratori, modificato geneticamente per farti incazzare.
"Infatti. E cosa è meglio per la lotta agli stereotipi di un uomo medio represso che si trasforma in una principessa?"
"Non sono mica una winx."
"E chi lo dice, la polizia del gender?"
Nessuno dei due, guardando l'altro, riuscì a restare serio, scoppiando a ridere sonoramente.
"A proposito, a Gigi hai già chiesto?" Elly domandò ancora con le lacrime agli occhi mentre si spappolava contro Beppe sul divano, spargendo le carte nuovamente per terra.
Il ragazzo emise un verso di sorpresa: "Cuore lo sai che non sei per niente leggera, vero?".
Ed era terribilmente vero, soprattutto perché lei era tutto muscoli e niente grasso, ma soprattutto poco delicata e elegante. Un elefante in una cristalleria se si può usare come paragone.

"E comunque no, non ho ancora chiesto niente. Domani a scuola glielo proporrò, ma non ti aspettare entusiasmo da parte sua."
La ragazza si sistemò comodamente su Beppe prima di afferrare da un cestino per bottiglie, agevolmente poggiato accanto al divano, l'ennesima birra della serata.

"Oh lo so, ma deve uscire di casa quel pasticcino, sennò come fa amicizia? Anche in vista del prossimo anno, con l'università e tutto il resto."
"Effettivamente, oltre a noi, non ha amici e, per quanto mi piaccia stare qua, vorrei frequentare l'università a Roma centro."
"E io vorrei andare all'estero..." Elly fissò pensierosa il nulla.
"Speriamo di riuscire a farlo socializzare almeno un po'." sospirò Giuseppe, mentre posava la mano libera sul suo fianco per reggerla. Nel mentre le rubò la bottiglia strappandola dalla sua presa, per assaporarne un sorso.
Lei lo ricompensò con un colpo sulla pancia:

"Ubriacone" lo apostrofò togliendogli la bottiglia di mano.
"Parla l'altra" ribatté lui irritato, posandola a malincuore sul tavolino del salotto saturo di cartoni di cibo d'asporto per quando nessuno dei due voleva cucinare; soprattutto Elly che se accendeva il gas rischiava di causare l'intossicazione dell'intero palazzo e, probabilmente, pure la luce saltata nell'intero quartiere. Come? Un modo lo trovava sempre per fare esplodere o bruciare qualcosa. Anche nelle faccende domestiche non era il massimo, non toccando l'argomento ferro da stiro...

"Dio, sono così stanca." Elly si sdraiò ancora di più sul povero ragazzo che sbuffò non contento, mettendo in bella mostra il retro della maglia che presentava una grossa macchia nera di cenere.

"Possiamo andare a letto, se vuoi."
"Sembra una proposta indecente, Beppe." ritrovò le energie per fargli un sorrisetto malizioso accolto da un roteare di occhi. Poi Giuseppe balzò in piedi quasi facendola rotolare per terra, ma lei si tenne stretta.
"Io non ti ci porto carissima, cammini sulle tue gambe."

Elly si alzò stancamente, sgranchendosi la schiena con uno sbadiglio. Entrambi fissarono il salotto, le carte sparpagliate sul pavimento, i cartoni, le bottiglie di birra sul tavolino, la sporcizia fra il vello del tappeto e anche alcuni vestiti sparsi in giro. Poi entrambi si fissarono interdetti.
"Ah non guardare me, io non faccio niente soprattutto stasera" scrollò le spalle Giuseppe mentre si avviava verso il bagno per cambiarsi e sfoggiare solo la maglietta del pigiama rigorosamente a righe. Giudicava la sua stanza abbastanza acclimatata da stare in mutande a dormire. Grazie a Dio, e a Elly, ora non aveva più quegli orribili slippini da vecchio cinquantenne che ti molestavano gli occhi.
"Non sei per niente utile" la ragazza ribatté senza pensarci mentre si levava tranquillamente il reggiseno nel corridoio davanti al bagno per poter continuare a parlare con l'amico attraverso la porta chiusa. Ormai erano talmente abituati ad essere insieme che avevano lo stesso spirito di privacy di due gemelli siamesi.

Certo, se Elly entrava in bagno mentre Giuseppe si faceva la doccia rischiava di ricevere una spugna bagnoschiumata in faccia, a parte quello poco o nessun dramma.
Giuseppi uscì dal bagno poco dopo, permettendole di accedere a lavarsi i denti.

Ne venne fuori senza maglietta, solo un top sportivo e i pantaloni a righe dello stesso pigiama di Giuseppe. Avevano due pigiami in casa, uno per l'estate e uno per l'inverno. Il fatto è che erano al verde a causa della loro situazione da adolescenti che spendono i soldi in tutto tranne che in cose utili, tipo birre. E usavano uno la maglietta e l'altra i pantaloncini. Una perfetta divisione per la sopravvivenza da fuorisede, in cui ormai loro avevano un diploma.

"Beh, buonanotte cuore" sbadigliò il ragazzo mentre si infilava dalla sua parte di letto. Il poveraccio doveva condividere il letto con Elly, che puntualmente ogni tanto gli tirava calci nella notte. E spesso e volentieri finiva a dormire sul divano quando la suddetta si sentiva particolarmente figa e riusciva a portare a casa una ragazza, o più insolitamente un ragazzo.

"Buonanotte Beppe" disse lei, procedendo a occupare più della metà del letto matrimoniale, facendo sbuffare il ragazzo.

Insomma, Giuseppe era un uomo sottomesso. Sempre. Anche se a volte si riprendeva qualche rivincita, a carte o conquistando qualche bella pulzella al posto suo. Il bello di essere un duo caotico bi (di cui uno nell'armadio😞).

Notes:

Ragazzuoli, scusateci per questi mesi senza aggiornamenti😓

Piccolo messaggino di G ↓↓↓
"Io, G, sono stato colto di sorpresa da piccoli problemi di salute mentale e anche la scuola mi ha un po' ammazzato😞. Ora però giuro che mi impegnerò a scrivere, con l'estate tutto più bello compreso stasera che si bivacca sul divano a guardare Don Camillo e Peppone yippe😸
p.s. : I want what they had (Don Camillo e Peppone."

(Tra l'altro abbiamo fatto un video a noi due in videochiamata dove facciamo tutto tranne che scrivere =_=)
~M

Chapter 6: Capitolo V: Essere figli di papà e i poco privilegi che ne derivano

Summary:

Capitolo su Silvio che fa di tutto perché suo padre lo manda in giro.

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Gli alti palazzi nelle vie scorrevano velocemente al rombare della macchina rosso fuoco, talmente tanto che la loro silhouette era a malapena intravedibile, come un fulmine che viaggiava nel centro abitato. I cartelli che segnavano il limite dei 50 km all’ora venivano prontamente ignorati dal conducente, piccoli consigli da non seguire.
“Mi congedo plebei, divertitevi a scuola”.
La mano sventola vicino all’orecchio con disinteresse, lasciando che i due ragazzi scendessero dalla Ferrari luccicante e perfettamente lustrata per non sembrare un barbone o un individuo di ceto sociale basso. La faceva lavare ogni giorno con cura dai suoi sottoposti (Giorgia e Matteo), con tanto di pacca sulla spalla come ricompensa: era una fortuna che una persona importante come lui concedesse loro il suo etereo tocco.
Giorgia spalancò con frustrazione la portiera, poco entusiasta della scuola o del dover vedere la sua rivale dopo la lunga litigata che avevano avuto qualche giornata precedente. Al contrario, Matteo era immerso nei suoi pensieri, stranamente calmo e silenzioso, lo zaino in spalla. Senza proferire parola e offrendo solo un cenno di saluto con la testa, si avviò a passo di lumaca verso il suo istituto.
Entrambi si guadagnarono un’occhiataccia tagliente come un coltello da Berlusconi e una scossa di capo, deluso.
La ragazza sbuffò, il suo umore non dei migliori: “Ci vediamo disoccupato, divertiti a non fare nulla tutto il giorno-”. Era suo tipico rinfacciare le cose alle persone, anche quelle che le stavano vicino o a cui voleva bene, colpa del suo costante stress con la vita. Le sarebbe toccato, come al solito, fare da badante a Matteo fino a che non avesse varcato le porte dell’agrario e lei sarebbe corsa, per non tardare, verso il suo istituto poco lontano.
“Questi bimbi che a malapena salutano” borbottò fra sé e sé. Una pericolosa inversione a U, quasi rischiando di tamponare una macchina nella corsia opposta, e riprese a sgommare per la strada.
La maggior parte delle persone che gli stavano accanto, che lo conoscevano in modo relativamente superficiale, avrebbero pensato che le sue giornate passavano tra il divertimento di feste d’alta classe, negozi di moda sartoriale costosissima e le tasche del papino che gli prestava quanti spicci volesse, viziandolo e cullandolo fra le sue braccia come un bambino del Vomero. Il papino, invece, lo aveva già buttato da una rupe… Non lo coccolava, né si complimentava con lui per i suoi successi o lo incoraggiava a fare di meglio nei suoi fallimenti. Quali fallimenti d’altronde? Lui era perfetto in tutto e per tutto. Diciamo che non gli importava di cosa il padre pensasse del suo conto, gli bastava l’orgoglio per la sua fama e boom in carriera, ma soprattutto le lodi delle belle ragazze.
Ormai era un uomo, aveva grandi responsabilità sulle spalle e a carico una grande azienda televisiva fiorente, e anche qualche piccola mansione giornaliera da svolgere per conto della sua famiglia. Per quanto possa sembrare un lavoraccio losco e corrotto, è molto onesto: nessuno oserebbe mettersi contro di lui.
Oggi, però, niente a che vedere con strani e segreti reati immischiati con la criminalità organizzata, solo una lunga e importante riunione sul commercio tra varie società provenienti da tutto il mondo, compresi alcune tra le più rilevanti figure del giornalismo. Diciamo, veramente poco discreta.
La gran parte delle volte le considerava noiose, quasi una perdita di tempo essendo che i partecipanti avevano molteplici idee discordanti da non trovare mai una vera intesa. Il campo dove la discussione si faceva accesa era in assoluto la trasmissione alla televisione di notizie, internazionali e non. Spesso si finiva per trattare di politica e lì si che iniziavano le vere litigate, ognuno che voleva imporre la propria ideologia. Maledetta la sinistra, erano sempre loro che cianciavano del loro pensiero liberale e egualitario; ma il carattere di Silvio lo portava sempre a fare da intermezzo a una comunicazione tranquilla e riuscire facilmente a riappacificare le acque…Stava giudicando troppo in fretta cosa ancora non sapeva per certo, d’altronde era un incontro internazionale di alto livello, non discuteranno di cose futili che potrebbero finire in una guerra di interessi. Però sperava comunque di non trovarsi davanti a comunisti che sicuramente avrebbero contestato la sua Ferrari da 200.000€.
Un’abile manovra e la sua auto era parcheggiata con precisione all’interno delle strisce, anche se non ce n'era bisogno visto che aveva il proprio nome sull’intera fila di- una grossa limousine era parcheggiata nella sua fila personale. Berlusca rimase quasi allibito dalla sfrontataggine che potesse quell'individuo. Non era arrabbiato, semplicemente non si aspettava che qualcuno potesse essere così temerario da provare a fare ciò che nessuno aveva mai, e dico mai, permesso.
Quella macchina era a dir poco spettacolare, un gioiello che solo una persona ricca e potente si potrebbe permettere. Il colore nero era talmente brillante che la sua rosso fiammeggiante sembrava una tamarrata d’altri tempi, sportiva e di bassissima classe. Il tettino di un tessuto pregiato che foderava con cura il metallo. Sottili maniglie argentate anticipavano le comode portiere e delle strisce decorative attorniavano la superficie.
Ne rimase incantato e, per la prima volta. la reputò assolutamente degna di starsene in bella mostra di fianco alla sua. I vetri oscurati facevano a malapena intravedere l’interno, che scrutava curiosamente… Fin troppo curiosamente che un uomo alto uscì dalla portiera anteriore dell’autista.
“Ha bisogno di qualcosa?” chiese freddo e con una certa ostilità nella voce. Probabilmente pensava che stesse per palparla ossessivamente, ma Silvio non si osava nemmeno guardarla a lungo e intensamente per la paura che quella si potesse consumare.
“Stavo ammirando questa bellezza mentre mi domandava di chi potesse essere ‘sto gioiellino d’auto.”. Il suo sorriso ammiccante illuminò il suo volto che nessuno avrebbe potuto resistergli. Invece l’altro rimase impassibile e non avrebbe ceduto così facilmente come sperava: “Non sono tenuto a rispondere alle sue stupide e futili domande.”
“Futili?! Sa almeno chi sono io?” gonfiò il petto e con superiorità del suo tono “Non si deve permettere di parlare a me con maleducazione, ha capito? Le persone di classe media non hanno più rispetto verso i ceti alti.” incrociò le braccia al petto aspettando una ribattuta, ma l’autista sbuffò solo.
"Vladimir Vladimirovič Putin.”
“Chi?!”
“Il proprietario.” e non aggiunse altro mentre si infilava nuovamente dentro. Che tipo strano… Il proprietario sicuramente non sarebbe stato da meno. Vla-di-mir, un nome non del posto, uno straniero.
Berlusconi percorreva in silenzio i corridoi dell’enorme edificio, immerso tra i pensieri dell’uomo sconosciuto. Probabilmente era solo uno di quei testoni e viziati che facevano tutto quello che volevano perchè si credevano superiori. Se lo incontrerà mai, una bella ramanzina nessuno gliela toglie, così si rimette in riga.

Il centro della sede era un luogo silenzioso dove pochi membri dello staff si aggiravano, nessuno in giacca e cravatta e mocassini. Era riuscito a perdersi in quel loop di scale, stanze e corridoi. Mica male se solo non avesse una riunione di rilevante importanza che sarebbe iniziata precisamente… Controllò il suo Nileg che segnava le nove meno dieci. Dieci minuti.
“Heyy, bel signorotto con i capelli strani e… anche una strana aurea da riccone.”
Berlusconi si voltò con un’espressione corrucciata e di uno che voleva solo correre di fretta in sala riunioni. I suoi occhi si mossero sulla figura di un uomo in camice blu che spuntò da una corsia buia e inquietante. Teneva una scopa tra le mani, il mento appoggiato al limite del manico col quale si dondolava, un ghigno sulle labbra. Il signorotto prima studiò i dintorni pronto a un assalto di chissà quale nemico politico che si era fatto poi, in seguito ad aver decretato la situazione relativamente tranquilla, squadrò giudicante da testa ai piedi il bizzarro personaggio (un altro plebeo).
“Che vuoi? Sono molto impegnato a cercare la sala riunioni”.
L’uomo avanzò di qualche passo verso Silvio, a cui non piacque per niente e arretrò disgustato: non avrebbe permesso a una persona di classe operaia di approcciarsi a lui, tanto meno avvicinarsi con i germi che aveva addosso dopo aver pulito cessi per l’intera mattinata. Da cosa lo aveva capito? Il pungente fetore di merda e disperazione che sprigionava da qualsiasi poro della pelle. Un veloce gesto e si tappò le narici con le dita: “Non provare nemmeno ad avvicinarti, bidello. Allontana le tue manacce sporche da me.”
“Dai vieni qua.” gli fece un gesto con la mano per convincerlo. Quello rovistò a lungo nella tasca dei pantaloni, da cui provenivano tintinnii metallici come se avesse una ferramenta lì dentro, ed estrasse un insolito sasso.
“Una pietra…?” chiese con un tono piatto.
“No no, questo è uranio. Non le senti le radiazioni~?” fece una strana movenza fluida con il corpo, era palesemente fatto di fumi pesanti.
Silvio rimase un attimo attonito mentre l’altro lo fissava ammiccante come se si fossero capiti al 100%. Cannabis, cocaina, crack o eroina, nell’aria si fiutava un leggero odore di erba o peggio…
“E cosa dovrei farci con dell’uranio?” come fosse una cosa naturale, che si vede tutti i giorni.
“Ma come?!” il bidello era pure stupito “Puoi farci un mucchio di cose come gli infusi, puoi leccarlo, è molto dolce sai? Tipo una caramellina. Puoi appoggiarlo sul comodino a mo’ lampadina, vedi è luminescente.” mise le mani a coppetta per oscurare e il minerale all’interno poi, tra la fessura delle dita, osservò la sua bioluminescenza.
“E va bene, dammelo se serve a farti smettere.” sbottò Berlusca di fretta, controllando un’ultima volta l’orologio che segnava le nove meno cinque. L’uomo rimase interdetto, non credendo di essere riuscito a vendere il suo uranio a qualcuno che quasi gli dispiaceva darlo via.
“Veramente lo vuoi-”
“Si!” e allungò lentamente una mano verso di lui per afferrare la pietra, ma non voleva nemmeno avvicinarsi a quel tizio maleodorante. Era una scena piuttosto divertente vedere il nostro caro signorotto tenere la testa il più lontano possibile dall’uomo disgustoso, una smorfia nauseata in volto. Doveva essere forte e virile, ma alla fine cedette perché troppo schifato.
“Senti, lanciamelo ti prego”. Non se lo fece ripetere due volte e, senza domande, tirò l’uranio verso Silvio che abilmente lo afferrò e si voltò dall’altra parte intento a svignarsela il più in fretta possibile. Era troppo indaffarato per fermarsi a fare chiacchiere con il personale dello staff, ma non si sarebbe fermato comunque anche se avesse potuto.
“Dove stai andando ladro?!” lo strano personaggio si mise proprio in mezzo al corridoio con un’espressione per niente felice e amichevole, a dir poco furiosa “Lo devi pagare il mio amato uranio mica te lo regalo!”
“Pure il compenso ti devo dare? Dovresti pagare me per averlo preso.” borbottò incazzato, ma senza tempo per discutere che uscì una banconota da 100€ e gliela buttò addosso. Il caro Carlo Calenda appena la scorse, gli occhi gli si illuminarono manco la Madonna gli fosse apparsa davanti. Una mossa feroce e possessiva come un felino che agguantò quel piccolo pezzetto di carta e lo strinse a sè, sparendo nuovamente nell’ombroso angolo dell’edificio. Diciamocelo, era un disperato che cercava in qualsiasi modo di racimolare spicci lavorando nella pulizia perché Lapo lo voleva sbattere fuori casa. Nonostante fossero amici di lunga data, anche lui voleva costruirsi una vita senza quel terzo incomodo di Carlo in mezzo. Poi, dopo quella strana ossessione per l’uranio, riempiva l’abitazione di minerali radioattivi, estratti direttamente da lui illegalmente.

I corridoi e le stanze sembravano infinite e le percorreva a passo frettoloso, ma sempre e comunque composto ed elegante. Dopo 2 minuti di bahare a caso in quel labirinto, trovò il percorso più affollato dove le persone non erano chiaramente strani bidelli idioti che vendevano uranio.
“Guarda chi si vede, il mio Silvione!” una voce familiare e allegra che proveniva da dietro le sue spalle. Il ragazzo si voltò ritrovandosi faccia a faccia con Gianni Letta, una sua vecchia conoscenze.
"Oh Oh Oh da quanto tempo non ci si vede, vieni qua.” con il suo sorriso affascinante si avvicinò e lo abbracciò senza garbo o professionalità, da estroverso qual era. Non pativa la vergogna né l'imbarazzo, preferiva essere amichevole e simpatico finché non si allontanavano e poteva finalmente denigrarli.
“Allora che mi racconti di bello?”.
I due vecchi amici si approcciarono verso la sala principale, chiacchierando tranquillamente del più e del meno, un minuto in anticipo. Non ci fu tempo per chiacchiere che presero posto al tavolo. Un grosso e lungo rettangolo di legno zeppo di documenti e scartoffie scritte, persone che le sfogliavano con molta attenzione e dedizione, altre che parlavano sottovoce osservando e giudicando male certi individui. I suoi occhi che studiavano la sala, il suo sorriso ammiccante e carismatico sulle labbra, catalogarono persona per persona, figlio di papà o mantenuto, altri poco rispettabili o plebei senza mezzo soldo (quale il personale). Sembrava le tipiche riunioni senza nessuno di interessante, gente senza un vago senso dell’umorismo o una personalità che spicca sulle altre, noiosi e che si sottomettono alle idee degli altri.
Lui non seguì quasi niente di quello che ebbero da dire, erano troppo inferiore per le sue orecchie altolocate, abituate ad ascoltare solo le voci dolci delle belle ragazze. La discussione si era accesa che dalla sala provenivano

Un uomo si alzò dalla sedia, era stato silenzioso per l’intera conversazione sull’influenza della televisione sulla politica segnando piccole note sul suo taccuino. Era un ragazzo medio niente di chè apparentemente, sulla ventina come il nostro caro Silvio e classificato da lui “il più decente”. I capelli biondi e corti pettinati in un ciuffo laterale, alcuni ciuffi che gli ricadevano sugli zigomi marcati del viso. Il suo atteggiamento stoico e serio, distaccato e professionale sembrava inquietare le persone che gli erano sedute vicino, manco li stesse per uccidere uno a uno. La prima impressione sembrava comunque non colpire gli standard del Capitano, ma era interessato a sapere cosa avesse da dire di tanto importante.
Se ne stava comodamente appoggiato allo schienale della sedia, le braccia incrociate al petto e un cipiglio sul volto, valutandolo con severità.
L’uomo, apparentemente misterioso, aprì bocca: anche se parlava fluentemente italiano un forte accento russo traspariva nella sua voce ferma e dominante (è un vero alpha wolf :p :b :p). L’intervento era curato, intelligente senza troppe chiacchere in eccesso, arrivando direttamente al punto del problema. Un vero imprenditore, forse qualcuno di importante nella scena politica o solo la fortuna del principiante, chi era quel tizio? Non lo riconosceva, non lo aveva mai visto prima: era come spuntato dal nulla un giorno a caso, ma facendo intendere che fosse già un professionista del campo.
Silvio stava per afferrare la penna sul tavolo, non sa se per giocherellare o per annotare effettivamente qualcosa di sensato, ma si bloccò di colpo. La sua espressione era decisamente distratta e un cenno di confusione passò nel suo sguardo.
Lo sguardo di quell’uomo misterioso aveva incrociato anche il suo, dopo aver rabbrividito la sala che non osava neppure fiatare. Non li biasimava, i suoi occhi azzurri verso il grigio erano come il ghiaccio in Siberia, freddi e imperscrutabili. Lo facevano sentire… strano? L’altro aveva un'aura da superiore, più dello stesso Berlusconi che ne rimase come affascinato. In quegli anni dove le persone erano plebei, stupidi e irrazionali, inferiori che si abbassavano la testa davanti ai potenti lui non lo faceva: era lì a testa alta, fiero e composto. Meritava il suo assoluto rispetto.
“Bravo!” balzò in piedi applaudendo quando concluse il suo intervento. Inutile dire che non aveva seguito più una parola dall’incontro con i due ghiaccioli che erano i suoi occhi.
“La sua tesi è stata la migliore che abbia sentito di oggi, una vera poesia per le orecchie.” sfoggiò il suo sorriso smagliante, non ricambiato dal ragazzo. Egli gli lanciò una lunga e dura occhiataccia, tra l’irritazione e lo sgomento con tanto di sopracciglio alzato, palesemente confuso.
Gianni, seduto proprio di fianco a Silvio, rimase attonito dalla reazione improvvisa del suo amico. Sapeva che lui aveva un debole per i bei discorsi con parole studiate e ordinate, ma non si aspettava che si alzasse e applaudisse come se niente fosse. La sua mano si aggrappò alla manica del signorotto, ancora fieramente diritto davanti a un Vladimir incerto sul dà farsi, e lo strattonò con forza per farlo risedere prima che potesse essere deriso,
“Che ti è saltato in mente?!” bofonchiò rimproverandolo, il palmo a coprirsi la bocca in modo da non far vedere che stesse parlando.
Silvio lo osservò per un secondo in silenzio, quasi con innocenza: “Era un bel discorso.” scosse le spalle nonchalante, non gli importava il giudizio di quegli stupidi, ma solo di esprimere la propria opinione liberamente. Letta doveva fare l’amico supportivo, ma non riusciva quando era così testardo; aprì bocca per essere subito interrotto dal Capitano. Il suo unico pensiero al momento era scoprire l’identità dell’uomo misterioso.
“Sai chi è?” chiese curioso e sorridente, indicando con gli occhi il ragazzo. Gianni sbuffò affranto, rinunciando alla ramanzina che si sarebbe meritato.
“Vladimir Putin, un intermediario russo che si occupa maggiormente di politica televisiva. Non è molto che lavora nel campo, ma sembra avere molto successo.”
Ecco chi era…

La riunione era ormai finita, l’intera sala si diresse verso l’uscita. Varie auto di lusso stavano ferme ad aspettare i propri ricconi fuori dal palazzo. Silvio aveva ormai perso di vista Vladimir, tenuto sotto osservazione per il tempo restante. Gianni, invece, era scappato il prima possibile usando come scusa il dover cucinare per i figli.
Nel silenzio teso e cupo subito dopo le riunioni, quando si sente il peso delle litigate precedenti e le idee diverse di ognuno, uno squillo e subito una canzoncina di Apicella suonò da un telefono. Di chi poteva essere se non del nostro caro Berlusconi che, anche ricevette occhiatacce giudicanti da coloro che gli camminavano affianco, se ne fregava altamente perché Mariano era il suo cantante preferito e non dovevano permettersi di toccarlo. Dal taschino interno della sua giacca recuperò il suo vertu signature, lo portò all'orecchio rispondendo con un brillante “pronto”. ci fu un momento in cui nessuno parlò, poi un inquietante respiro affannato: “Siamo sul posto.”
Rapidamente studiò le persone accanto a sé. Non si aspettava che la missione procedesse così rapidamente, ma soprattutto non quel giorno che sembrava banale e inutile come la riunione. Suo padre non era uno di molte parole, spuntando ogni tanto con i suoi “piccoli affari” che sbolognava al povero figlio senza preavviso. Era la corrente dell’incarico, ma non aveva idea che avrebbe dovuto svolgerlo oggi, anche perché aveva altre cose per la testa.
“Procedete.” sussurrò al cellulare senza giri di parole, solo un ordine diretto e preciso.

A passo normale per non destare troppi inutili sospetti, finalmente si allontanò dall’edificio e tornare alla sua bellissima auto che lo stava aspettando. Peccato che questa volta era completamente sola, la magnifica limousine del russo era partita con lui sopra. Non riuscì nemmeno a farci due parole che scomparve nel nulla… (poor lil’ baby 🙁)
Con la coda dell’occhio, mentre si accomodava sul sedile del conducente, vide un tizio passare: capelli rasati castani con un piccolo ciuffo tirato, un paio di occhiali da sole poco altolocati di plastica rosa e una valigetta blu fluo. Era lui, proprio lui con quella faccia da plebeo e sorriso da omosessuale quale era. Rapidamente chiuse la portiera, cercando però di non sbatterla troppo, forte meglio non rovinarla. Al rompo del motore seguì un lungo momento di silenzio mentre guidava a tutto gas tra le strade in centro Roma.
Se pensate che sia solo un guidatore spericolato e sfrecci ai 150 con la sua Ferrari solo per sfoggiare la sua figaggine, a detta sua, siete degli sciocchi come i suoi due piccoli schiavi. Non sapevano che lui era sulle tracce dell’amante di uno sporco e schifoso leader di una gang rivale che competeva con la sua nell’esportazione di maria di bassa qualità. La maggior parte delle volte era così: lui si trovava casualmente invischiato negli affari della criminalità organizzata, suo padre che lo trascinava a fare fuori persone che potevano dare fastidio al suo sogno di uomo ricco; lui, vivendo a Roma, facilmente riusciva a comunicare con le altre bande. Stava prontamente seguendo, a debita distanza, il veicolo del frocio che probabilmente voleva andare a fare cose zozze con il boss sposato: meglio farlo esplodere prima.
Un ponte di pietra a tre arcate, apparentemente stabile come le infrastrutture romane di un tempo che Salvini avrebbe di certo approvato. Gli era finalmente dietro e la superò sempre a grande velocità. Non gli fregava molto se altri mezzi sarebbero stati coinvolti, la colpa non sarebbe di certo andata a lui. Sfrecciò verso Roma periferia, non provando alcun tipo di rimorso per cosa stava per accadere. D’altronde non era la prima volta e non sarebbe stata di certo l’ultima.

 

Un forte rumore si udì in tutta la città, simile ad un aereo che supera la barriera del suono o forse solo qualche bimbo che scoppia petardi per divertimento, ma questa volta era diverso. Un’esplosione aveva fatto tremare il ponte di passaggio per Roma est, che ha fatica aveva retto il botto. Chiunque nei paraggi avrebbe potuto sentirlo, era veramente molto appariscente per una missione di massima segretezza. Le persone non erano stupide e di certo non lui, non si sarebbe fatto ingannare dalla sua facciata “simpatica”, che a suo parare poteva essere molto fastidiosa. I suoi occhi gelidi e impassibili fissarono con freddezza la scena che si stagliava di fronte a lui: la Lotus Excel viola, che prima sembrava quasi sorridere, ora era un ammasso di rottami a fuoco e benzina sparsa anche sul limite della carreggiata. Il guidatore non era stato molto fortunato a ritrovarsi coinvolto nella mafia, il suo corpo bruciato accovacciato sul sedile completamente inerte. Non poteva negare che quella vista non lo appagasse, non fu una malvagia trovata pedinarli rischiando di essere beccato, e ora era tranquillamente appoggiato al cofano della limousine a braccia incrociate.
Il suo assassino era scappato, la gente preoccupata accorreva a osservare il disastro. I suoi superiori erano degli stupidi a credere che fosse una buona idea scovare informazioni da quel Silvio, solo uno spocchioso e presuntuoso ragazzino che aveva i soldi di papà e la sua protezione. Non poteva resistere altro giorno se non fosse stata per la voglia matta di adrenalina e uno strano interesse nei suoi confronti, forse come cavia per insulti…

 

Come se niente fosse accaduto e fosse stato solo un sogno febbrile, Silvio si ritrovò davanti alla via delle scuole, come ogni singolo giorno da anni, che i suoi due bimbi frequentavano. Una mano sfiorò le sue tempie scombussolate da un forte mal di testa che si fece ancora più forte quando scrutò in lontananza il viso perennemente corrucciato di Giorgia che si trascinava per mano un Matteo con un’espressione da bamboccione. Probabilmente stava pensando di nuovo a qualche infrastruttura o cantiere.
“Hey Boss!” un palmo che sventolava in aria con felicità e il ragazzo grande gli corse incontro. Un sorriso tirato si fece strada sulle labbra del signorotto, pronto a subire un discorso approfondito sulle ruspe.
“Sa, la fruttina che ci ha dato era buonissima, dovrebbe comprarla spesso.” ridacchiò con la sua voce possente: era come badare perennemente a un bambino che entusiasta per le minime banalità.
“Si si, domani te la compro dalla bottega sotto casa mia. Se vuoi ha pure il caviale.” il tono era chiaramente esausto.
“Mhh, nah. É troppo umido e liscio, quando mi scivola in gola fa un rumore strano.” ammise Matteo, le sopracciglia corrugate dall’immenso sforzo celebrale che il suo cervello stava facendo. Gli altri due rimasero basiti dalla risposta, anche se ci si poteva aspettare di tutto da quell’uomo. Un verso di disapprovazione e disgusto uscì dalla ragazza: “Non ti stiamo chiedendo mica di fare un pompino ad un uomo.” era una delle sue battute base, i suoi occhi vagarono verso il cielo mentre pensava a quanto la ripugnassero gli omosessuali.
Silvio non reagì, strano perchè di solito rimbeccava entrambi, ma la sua mente era altrove. Forse quelle battute non gli piacevano più tanto: si era fregato da solo…

Notes:

Droppato il capitolo dopo tante imprecazioni sulle parti noiose, ma è venuto più lungo del previsto. Stiamo lavorando ha troppe cose contemporaneamente T-T.

Amo troppo Silvio e Vladi arghghghgh, ho un sacco di idee per loro. Adesso vi mostro queste perle che ho reperito dalla parte più buia del web.

1. https://www.monopolitrerose.it/wp-content/uploads/2022/03/putin.jpg
2. https://static.dagospia.com/img/patch/07-2014/apicella-berlusconi-569878_600_q50.webp

Sperando che si vedano. ;)

~M

Tanto ci rivediamo tra circa 10 minuti ;P

Chapter 7: Capitolo Special parte 1: Family trip

Summary:

Capitolo ambientato nell'estate prima delle vicende, scritto come meme. In pratica Silvio che porta i bimbi al golf ma se ne pente.

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

“Ragazzi oggi mi avete esaurito…”
Ruppe il silenzio teso e pesante con la sua voce delusa e roca. Silvio, alla guida del golf cart, trasportava i suoi sottoposti come due bimbi che avevano fatto i cattivi. Una mano era sul volante, l’altra a massaggiare le sue tempie.
La fronte corrucciata e gli occhi stanchi che scrutavano il grande e verde campo da golf farsi lontano alle loro spalle. Il sole ormai era basso all’orizzonte e un alone arancione illuminava il cielo.
“Scusi boss” bofonchiò Matteo seduto sul retro della vettura, su uno di quei sedili azzurrini. Non riusciva a parlare dalla troppa frutta che aveva in bocca, ma il tono era chiaramente dispiaciuto. Gli occhi verdi che osservavano l’erba mentre teneva in mano la sua macedonia.
“Oh sei dispiaciuto?! Come se non avessi arrecato problemi tutto il tempo” ringhiò la ragazza bionda seduta di fianco a lui. Le braccia incrociate e la sua smorfia perennemente irritata sul volto. I suoi capelli legati in una coda spettinata dalla lunga giornata vissuta.
“Giorgia tu non sei stata da meno! Zittitevi!” esclamò Berlusconi chiaramente esausto. Erano delle palle al piede quei due, non si ricordava più come mai aveva deciso di prenderli sotto la propria ala (come schiavi).
Giorgia sbuffò, la sua smorfia diventò sempre più arrabbiata, ma non poteva contraddire il suo capo. Si limitò a imitarlo sottovoce, scuotendo la testa.
Per fortuna che il giorno era finito, se no come poteva il povero boss sopportarli ancora?

 

“Ragazzi guardate il posto magnifico in cui vi ho portati. Non potreste mai vederlo con nessun altro eh” disse soddisfatto Berlusconi, petto gonfio e mani sui fianchi mentre respirava profondamente l’aria “fresca” dell’immenso campo da golf. Come al solito fece riferimento al suo essere ricco sfondato, ma come biasimarlo? I due ragazzi che si portava appresso non avrebbero mai visto tutta quella bellezza se non fosse per lui.
“Questo sport dovrebbe essere entusiasmante?” chiese Giorgia, i suoi occhi che osservavano con noia l’intero prato contornato da piccoli boschetti smeraldo. Gente che scorrazzava qua a là facendo un grande baccano, mazze che colpivano palline volanti: percuotere piccole sfere bianche per farle entrare dentro buche dovrebbe essere esaltante?
“Eddai Giorgia, non può essere così male. Voi plebei non potete capire la bellezza-”
“Fa caldo!” il discorso del ragazzo più grande venne interrotto dalle lamentele di Matteo, chiaramente fuori posto in quel luogo per persone altolocate. La tuta Adidas comprata dal suo amico per confonderlo tra i ricchi non gli stava bene e quella polo bianca… Non poteva resistere a lungo di quel colore.
A Giorgia invece donava molto, aveva anche una fascia azzurra a tenere indietro i suoi capelli corti, che era perfettamente in tinta coi suoi occhi.
“É normale che faccia caldo, siamo a luglio!” eppure lui sembrava proprio non capire quanto caldo potesse effettivamente fare, doveva per forza sfoggiare quel maglioncino rosso di sartoria puro cashmere legato con cura, per non rovinarlo, intorno alle spalle.
Berlusconi si mise in marcia, mazze in spalla mentre giocherellava con le chiavi del cart, lanciandole in aria, pronto a partire verso la prima buca.
“Aspetta! Noi prenderemo uno di quelli?!” indicò Giorgia, i suoi occhi che si illuminarono con grande curiosità.
“Ovviamente, ho pensato a tutto.” le chiavi, svolazzando in aria, vennero afferrate con prontezza e velocità dalla ragazza che corse di fretta verso il mezzo che l’altro aveva noleggiato. Silvio sobbalzò, osservandola con le palpebre spalancate, temendo che le potesse far cadere.
“Guido io!” ghignò balzando sul comodo sedile del guidatore, le mani sul volante davanti a lei.
“Stai attenta!” la inseguì piazzandosi di fianco alla ragazza, pronto a fermarla prima che potesse sfrecciare a tutto gas per il prato.
Matteo li seguiva con la testa fra le nuvole, come al suo solito, e sciupato dal sole che picchiava sul cemento del parcheggio.

“Ahhhhhhhh!” urlava Matteo sfondando i timpani delle persone a cui passavano accanto, attirando la loro attenzione. Si coprivano le orecchie, osservando con confusione il veicolo che derapava a velocità elevata, ondeggiando da una parte all’altra. Quasi prendeva il volo in salita, quando arrivavano in cima a una collina.
Il ragazzo si strinse forte al sedile, temendo che l’amica prima o poi si andasse a schiantare contro un albero.
Questa situazione riuscì a scombussolare anche il signorotto Berlusconi, che si teneva stretto alla maniglia del tettino, una certa nausea che gli salì nello stomaco fino alla gola. La sua dignità doveva essere conservata come la sua eleganza, la faccia impassibile. Solo le sue pupille si muovevano a studiare l’orizzonte.
Il golf cart frenò di colpo, lasciando una lunga strisciata di terra senza erba.
“Siamo arrivati” trillò Giorgia, pienamente soddisfatta della sua guida, un sorriso solare stampato in faccia.
I due passeggeri erano sconvolti, ma non morti per un incidente. Salvini si tirò in piedi a fatica, le gambe che tremavano e una delle tante mazze usata come sostegno. I suoi occhi si fecero strada verso la distante buca che doveva centrare in qualche modo, la sua alta autostima che crollò come un palazzo sotto bombardamento.
“Scusate, devo assentarmi un secondo” interruppe Silvio, che si allontanò dai suoi sottoposti, la nausea che non si affievoliva. Il suo ego era troppo alto: non poteva farsi vedere indebolito da degli inferiori, soprattutto mentre stava per vomitare. Osservandosi con circospezione intorno, si ficcò dietro a un cespuglio.

“Sono pronta per tirare!”
“Voglio iniziare io.”
“Non hai mai sentito parlare del galateo? Prima le donne”
“Sul campo da golf non esiste! E io sono più grande, quindi dovrei cominciare io.”
“Bambini calmatevi.” dalla selva oscura sbucò, con passo da diva e nonchalance, Silvio che prese le redini della discussione. I capelli scintillavano al sole, perfetti e curati. La sua mano si mosse velocemente a strappare dalla presa della Meloni la mazza “Tiro io per primo, spostatevi”. Spintonò entrambi lontano da lui, posizionando la pallina sul suo supporto.
Matteo lo osservò confuso: “Dove era finito boss?” domanda che venne completamente ignorata.
Un colpo secco e la palla volteggiò in aria come una stella cometa, perdendosi nel grande cielo azzurro prima di ricadere con un tonfo sul terreno secco. Le sue capacità erano decisamente superiori agli altri: la piccola sfera bianca era atterrata molto vicino alla buca.
Come una majorette, la sua mazza roteò fra le dita per poi toccare di nuovo la terra: "È il vostro turno bimbi, mostratemi cosa sapete fare”.

“Cazzo, ma quella era una bambina!” esclamò Giorgia sconvolta.
La pallina tirata da Matteo aveva colpito in piena nuca la figlioletta di qualche golfista. Quest’ultima, dopo un attimo di confusione, scoppiò in lacrime piangendo e urlando a squarciagola.
La risposta del padre non si fece attendere: accarezzò dolcemente la testa della piccola, mentre le intimava a calmarsi, anche se lei era letteralmente un pargolo e non poteva capirlo.
I suoi occhi si alzarono di scattò, fulminandoli uno a uno prima che il suo sguardo incontrò Berlusconi.
Il ragazzo sbiancò completamente, il suo sorriso sicuro si trasformò in uno più nervoso, mai visto su di lui.
“Plebei smammiamo, prima che mi mangi vivo.” sventolò la mano gesticolando, invitandoli ad andare. Non se lo fecevano ripetere due volte quando era ordine del loro capo.
Certe volte, con quel tipo di mezzo, era meglio non porsi troppe domande. Silvio era misterioso, non si lasciava mai sfuggire dettagli non leciti o troppo sulla sua vita privata. Probabilmente il golfista a cui Matteo aveva colpito la figlia, era uno dei suoi tanti rivali o concorrenti in affari… o peggio.
I due adolescenti si scambiarono sguardi confusi dal comportamento dell’amico, ma non gli chiesero assolutamente niente sapendo che avrebbe cambiato subito discorso.

“Com'è possibile che siamo neanche ad un quarto delle buche e abbiamo finito le palline?!” sbottò. Scuoteva il borsone a testa in giù con foga, tentando in ogni modo di scovare qualche palla sul fondo. Niente di niente, finite, neanche una piccolina piccolina. Perse per sempre tutte quante. I suoi occhi vagarono all’orizzonte, in una disperata ricerca: qualcuna era finita nel bosco, qualcuna nel limpido laghetto di acqua cerulea. Chissà quante ce ne erano lì in fondo… La sua mano sfiorò la superficie fresca, le dita che creavano tristemente dei cerchiolini. I suoi soldi (le palline) erano affondati. Si sarebbe tuffato volentieri per recuperarle, ma non poteva abbassarsi a livelli disperati.
Sospirò pesantemente, prima di alzarsi con un po' di fatica: a ventotto anni aveva già alcuni acciacchi, non poteva immaginare da vecchio.
“Siete in debito con me per tutte le palline che avete perso. Soprattutto tu, Salvini…”.
La sua faccia turbata e pensierosa, le palpebre strette in uno sguardo duro con cui fulminò i due: “Vado a comprare altre palline allo shop, state qui buoni ed aspettatemi”.
Il golf kart ripartì con un rombo, le piccole gomme che sfrecciarono fra l’erba curata, pestandola. Ormai era solo un piccolo puntino in lontananza.
“Cosa facciamo mentre aspettiamo?” chiese il più vecchio, come se non potesse stare 10 minuti seduto.
“Hai sentito il boss? Stai buono a cuccia.”

Un silenzio pesante riempiva l’aria: forse era la noia che provava Matteo o forse ancora l'impazienza di Giorgia. La ragazza camminava avanti e indietro come una pazza, immersa nell’irritazione. Evidentemente era immune ai capogiri perché, anche se stava passeggiando in cerchio da più di 10 minuti, non accennava a fermarsi.
Il giovane adulto se ne stava rannicchiato in un angolo, la schiena appoggiata stancamente a un albero. Tutti i suoi muscoli si contorcevano e formicolavano: il terreno era decisamente scomodo e il suo sedere non apprezzava l’erba urticante. Il caldo soffocante lo stressava, i raggi del sole che picchiavano sulla pelle delle sue braccia, arrossandole: stava facendo un bagno di sudore. La sua testa si accasciò sulle ginocchia, provocandosi un leggero dolore: “Giogio” borbottò esausto “puoi smettere di girare in tondo? Mi fai venire la nausea”.
“Il boss ci sta mettendo troppo!” si fermò nel mezzo del campo, battendo il piede con fretta. Le braccia incrociate e un broncio sul volto accigliato.
“Non è passato nemmeno un quarto d’ora, rilassati”.
Per quella donna rilassarsi era impossibile e quella lunga attesa non faceva altro che frustrarla: l’efficienza era parte del suo carattere. I nervi a fior di pelle che pulsavano nelle sue tempie; ma non poteva farci niente se il capo ci stava impiegando più del dovuto. Un mugugno uscì dalla sua bocca insieme a un sospiro: “Va bene, mi hai convinta.” si arrese.
Ma quando si voltò verso il suo bro era sparito. Le sue palpebre sbatterono velocemente, mentre la sua espressione cambiò completamente.
Il suo viso si fece pallido, gli occhi sgranati e confusi.
“ Matteo?” domandò consapevole che non avrebbe ricevuto risposta “dove cazzo sei?!”.
Un paio di passi e si avvicinò al luogo preciso in cui era seduto: i fili d’erba, prima perfetti, erano stati schiaccianti dal peso del ragazzo, ma di lui non c’era traccia. Lo aveva perso…

Il negozietto nel villaggio principale vendeva di tutto: mazze, borsoni, integratori, palline… Proprio ciò che gli serviva! Voleva fare il più in fretta possibile: lasciare i due ragazzi da soli era come liberare dei cavalli in natura. Peccato che aveva un “piccolissimo” impedimento: i numerosi golfisti. Quelli se ne stavano in cassa a litigare col cassiere sul prezzo, a detta loro troppo alti per il prodotto. Tentavano in ogni modo di contrattare al fine di abbassarlo, anche se il dipendente ripeteva insistentemente che non poteva, altrimenti il superiore lo avrebbe licenziato.
Berlusconi era in piedi al termine della coda, almeno sei persone dovevano passare prima di lui. Chi erano i coglioni che comprano lì, anche sapendo che ci tiravano sù coi prezzi? Bah-
La musichetta tranquilla e allegra, tipica dei centri commerciali che dovrebbero invogliarti a comprare, gli risuonava nelle orecchie da circa 15 minuti, lo spazientiva solo. L’unica cosa per cui resisteva era l’aria condizionata. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma aveva effettivamente caldo con quel maglione addosso.
All’improvviso, un forte grido di rabbia proveniente dalla cassa, catturò la sua attenzione e, senza scomporsi, alzò lo sguardo.
Adesso, quel golfista, stava minacciando il cassiere, il quale chiamò il titolare che provava a calmarlo.
Sarebbe stata una lunga attesa.

Notes:

Due capitoli in un giorno yay XD in realtà questo capitolo è tra i primi scritti mentre buttavamo giù idee. Diviso in due parti, la prossima uscirà tra un capitolo.

Ecco un video di noi due dove NON scriviamo ;)
https://youtu.be/kGzrCaDLRBY

⁓M

Chapter 8: Capitolo VI: Day before the hell comes

Summary:

Un giorno medio, senza niente di particolare o incredibile, una noia mortale per tutti i nostri piccoli politici.

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Tutto sembrava associare quel venerdì ad un normale giorno di novembre, assopito, freddo e rallentato. Le facce degli studenti, che si approcciavano all’entrata, sembravano rappresentare proprio questo nell’atrio del nostro amatissimo e conosciutissimo liceo classico, dove Giuseppe e Luigi erano impegnati in una conversazione di fondamentale importanza: il gusto del panino da comprare all’intervallo.
Una discussione di tale spessore che non si accorsero minimamente di star percorrendo il corridoio più sbagliato dell’ora: quello dove il bidello Calenda sostava nelle sue giornate, incapace di trovare un altro lavoro e dovendo in qualche modo provvedere alla figlia. Si era ritrovato a rientrare a scuola prima di quanto nessuno immaginasse, a lavare cessi però, e con altri 5 lavori da inserviente sparsi in provincia. Gli alunni ci stavano ben alla larga, non volendo nemmeno mettere un piede nel luogo angusto che odorava di strane sostanze chimiche non riconosciute dalla scienza e erba di bassa qualità, evitando anche l’inquilino che amava molestarli.
Il giovane, non appena si accorse di avere compagnia, si mise immediatamente nella strada dei due ragazzi, interrompendoli, petto gonfio e mani sui fianchi preparandosi a una lunga persuasione.
“Sembrate due in cerca di una soluzione, mi sbaglio?” procedette a parlare, con un sorriso da venditore, “Ho una cosa da offrire proprio per voi.” disse mentre si iniziò a frugare con foga nelle tasche. Proprio mentre intraprendeva la ricerca di qualsiasi cosa stesse in fondo alle sue saccocce, scrutò attentamente il volto dei sue due possibili acquirenti e corrugò leggermente la fronte in un'espressione contrariata.
“Hey, ma tu non sei quello di un paio di settimane fa...-”.
Neanche il tempo di finire che, approfittando del momento di distrazione, Giuseppe afferrò il braccino di Gigino per infilarsi rapidamente in uno svincolo laterale e sparendo dietro l’angolo.
“Dio santo che paura!” esordì immediatamente il ragazzo più grande, felice di averla scampata: "Quell'uomo ha bisogno di un ordine restrittivo per la salute mentale degli altri”.
Luigi lo stava fissando ancora spaesato dal suo comportamento bizzarro: “Cosa diavolo…”.
“Non preoccuparti.” disse rapidamente Giuseppe dandogli una leggera pacca sul braccio.
Il povero ragazzino decise di non porsi domande, soprattutto su come Peppe sembrasse così a conoscenza del bidello mezzo pazzo. Il corridoio venne percorso sotto i loro occhi guardinghi, fin quando non furono a sufficiente distanza dal luogo, prima che Giuseppe tornò a parlare a ruota libera. “Senti, a proposito di pause e cibo, domani volevamo andare a fare festa io e Elly.” iniziò con rinnovata foga. Già a quelle parole Gigi si sentì quasi ritrarre nell’aria. Lui? Ad un festino? Non c’era modo. La sua ansia sociale era troppo alta per anche solo provare a metterci piede.
“No guarda, dai-”
“Eh su che è solo un festino, piccino piccino” Il ragazzo più grande procedette a fare un sorrisetto innocente.
Gigi quasi si sentì male. Sapeva che non lo sarebbe stato, probabilmente ci sarebbe stata l’intera scuola, o l’intera città. Non ci si poteva mai fidare di loro due, specialmente quando si trattava di feste e serate fuori. Si mosse a disagio sotto lo zaino pesante che aveva sulle spalle.
“In qualche modo dubito seriamente delle tue parole, Beppe.” sospirò affranto, consapevole che qualunque opposizione sarebbe stata vana nei confronti del duo e che lo avrebbero trascinato a forza.
Giuseppe si mise una mano sul petto con fare drammatico: ”Come ti permetti insulso bambinetto?!” poi fece una strana movenza con tanto di sbuffo finale.
L’amico scosse la testa: certe volte era proprio una diva.
“E per tua informazione, lo stiamo facendo per te. Ci preoccupiamo della tua asocialità, piccino.” poi gli scompigliò i capelli e si allontanò nel corridoio “A dopo Gigino!”
Lui si ritrasse dal suo tocco imbronciato: temeva, non aveva scelta.

 

Nella pausa tra una lezione e l’altra, Luigi camminava nei corridoi cercando il suo amico. Lo vide mentre parlava con un altro gruppetto di ragazzi, qualcuno della sua stessa squadra di calcio. Non volendo intromettersi, rimase in un angolo a disagio, scrutando le varie persone che salutavano o volevano scambiare due parole con lui. Giuseppe non appena ebbe un secondo di stacco, notò Luigi e subito si scusò con i ragazzi per andare da lui.
“Ei Gigino!” sembrava sorridente. Il più piccolo non ci mise granchè a scoprire il come mai di tutto questo entusiasmo: infatti non appena si avvicinò iniziò a yappare allegramente scartando come al solito un panino, probabilmente con qualche bontà della Puglia che i suoi gli spedivano da casa.
“Sai che oggi non c’è Renzi? Infatti è stata una mattinata fantastica”.
Gigi a quelle parole si sentì roteare gli occhi: “questo sempre a parlare di Renzi sta’” pensò, a buone ragioni, il ragazzino.
“Beppe, per quanto io ti voglia bene, non parlare la maggior parte del tempo di lui. Mi sembri quasi gay.”
A quelle parole il ragazzo trasalì sconcertato: “E non anche tu con questa storia, già ieri sera Elly continuava a prendermi per il culo.”
“A buone ragioni” borbottò sottovoce il più giovane, mentre si avviavano per la loro solita passeggiatina dell’intervallo.
Giuseppe sbuffò frustrato: “Potrei picchiarti per questo, dovresti rispettare i più grandi.”
era una palese bugia, non l’avrebbe mai fatto neanche uno scappellotto. Il ragazzo più grande si sentiva quasi in dovere di proteggere il più piccolo e prenderlo in giro bonariamente per allenarlo a rispondere alle prese in giro. Era consapevole di tutti gli sguardi e le cattiverie che lo colpivano quotidianamente, e proprio per questo voleva aiutarlo il più possibile a crescere. Anche se ogni tanto gli sfuggiva che il ragazzo era una vipera se lo voleva davvero, con sotterfugi quasi meschini.
In ogni caso, sfruttando la poca differenza di altezza fra di loro, gli avvolse il braccio attorno alle spalle, e gli scompigliò nuovamente i capelli, facendo scostare infastidito Luigi.
“Ehi! Non sono mica un bambino!” insinuò e si sistemò in fretta l’acconciatura sotto la risata di Giuseppe, che poi aggiunse: ”Anche se devo ammettere che senza quel ciarlatano la lezione è molto più noiosa.” facendo sbuffare sonoramente Luigi, che minacciò di chiamare Elly per bullizzarlo.

 

Invece, il disperso appena nominato era attualmente seduto sul water con il libro di inglese aperto sulle ginocchia. Il ragazzo aveva saltato scuola per colpa di una bella diarrea e casualmente proprio quel giorno avrebbe avuto una bella interrogazione di inglese. Era riuscito ad evitarla fino a quel giorno da fine settembre e sperava di riuscire a scamparla per almeno un'altra settimana. Doveva obbligare Elly ad aiutarlo a ripassare, non volendo farsi prendere in giro nuovamente dall’intera classe solo perché non sapeva pronunciare Edinburgh. Soprattutto da Giuseppe, non poteva permettersi di fare una figuraccia davanti a lui, doveva mantenere la sua facciata e la sua dignità, grazie mille.
Scorse rapidamente tra le pagine, inorridendo a quante ancora ne mancavano. Non aveva molto tempo visto che domenica sarebbe dovuto partire con gli scout per una gita fuori porta di tre giorni e inglese l’avrebbe avuto proprio il giorno dopo il ritorno. Si alzò dal cesso già presupponendo di saltare scuola anche il giorno dopo, per avere qualche oretta strappata in più di studio. Una volta fuori dal bagno, subito andò alla ricerca del telefono per chiamare frettolosamente la Elly, sapendo che in quel momento era in pausa: era troppo disperato.
Cercò il suo contatto nella rubrica del suo nokia (hanno tutti il nokia), e cliccò sul tasto verde.
“Pr-ontoh-?” rispose una voce un po’ alterata che sputacchiava all’interno del microfono.
“Elly, sono io. ho bisogno di una mano.” Matteo prese a camminare avanti e indietro, i suoi passi rimbombavano nella stanza.
“Ah shi” un forte rumore di denti che “un attimo solo” Elly finì di masticare rumorosamente il boccone che aveva in bocca e passò il telefono sulla spalla tenendolo fermo con il lato della testa.
“...Sì, ecco, se non mi mastichi nell’orecchio mi fai un piacere.” il ragazzo tirò su con il naso indignato. “Comunque, come ti dicevo, ho bisogno seriamente di una mano con inglese per l’interrogazione-” Fu interrotto dal crepitio di qualcosa vicino all'altoparlante dall’altro capo della conversazione “Ma cosa stai facendo di preciso?”.
Elly scosse le spalle, anche se l’altro non poteva vederlo, quasi facendo cadere il dispositivo.
“Sto rollandomi una sigaretta, chiaro no?” era infatti sulle scale antincendio delle sue magistrali, invisibili agli occhi dei professori e sede dei fumatori, sedute con lei due sue compagne di classe che ridacchiavano visibilmente quando aggiunse: ”Mica sono come voi uomini, io riesco a fare più cose contemporaneamente”.
Matteo si sentì ancora più urtato, ma si fece forza per il bene superiore, cioè l’inglese, e in minima parte il non fare una brutta figura davanti ai suoi compagni di classe. (Soprattutto Giuseppe)
“Okay, a parte quello, riusciresti a dirmi la pronuncia di queste parole?-” tirò fuori la lista scritta in penna verde da una pagina del libro, ma in quel momento sentì dall’altro capo il suono a scatti della campanella.
“Scusa luv, devo andare.” si congedò la ragazza con una certa noncuranza.
“No, no aspetta ti prego-” provò disperatamente Matteo ma gli attaccò in faccia, il suono di fine chiamata nel timpano. Allontanò il telefono dall’orecchio fissandolo come se egli stesso gli avesse fatto un torto e lo posò sulla lavatrice. A forza di girare in tondo ormai aveva percorso l’intera casa quattro volte, manco dovesse allenarsi per la maratona di New York, ed era pure tornato in bagno. Un bel respiro profondo molto calmo poi iniziò lo sclero: prese a pugni l’aria con molta convinzione, agitando le braccia nel vuoto. Un po’ imbarazzante ma insomma, era da solo a casa e urlare avrebbe solo portato i vicini a chiamare la polizia. Quindi, pur di evitare questa esperienza, stava imitando alla perfezione uno stitico: stessa espressione facciale.
Poi, dopo cinque minuti, si calmò e prese un altro lungo respiro.
“Okay Matteo, è ora di chiamare gli uomini.” afferrò con astio il telefono e cliccò sul primo numero nella rubrica che suonò giustamente a vuoto per una ventina di secondi, senza alcuna risposta. Il ragazzo, impaziente, decise di non arrabbiarsi, non ancora, era solo il secondo tentativo.
Un numero venne composto velocemente sulla sua tastiera copiato dal foglietto su cui teneva, quello di un suo compagno di calcetto, che sfortunatamente aveva rotto il suo dispositivo solo qualche giorno addietro perciò gli toccò chiamare a casa sua sperando di trovarlo.
“Pronto?” una voce femminile rispose alla cornetta e già Matteo sentì la speranza scemare dentro.
“Sì, salve. Sono Matteo, l’amico di suo figlio. Filippo è in casa?”
“No scusami caro, è fuori con la sua morosa.”
Matteo sentì il porcone salirgli dentro. Il suo essere cristiano e voler continuare a farsi amare dalle madri però lo fermarono dal farlo uscire.
“Non importa signora, grazie lo stesso.” sorrise anche se sapeva che la donna non poteva vederlo.
“Non preoccuparti caro, fa sempre piacere sentirti.” poi la donna , dopo qualche lungo saluto, mise giù la conversazione.
Matteo prese un altro respiro e compose il terzo numero. Quando sentì effettivamente la voce del suo amico, e non di qualche parente indesiderato, un minimo di speranza tornò nel suo cuore.
“Hey senti, ho bisogno di una mano per il compito di inglese-” subito partì in quarta a spiegargli, ma lo interruppe. Oggi era la giornata ‘interrompiamo Matteo’.
“Matte? Aspetta, non ti sento” l'altro ragazzo disse quasi urlando nell’apparecchio da cui provenivano forti rumori.
“Giovanni? Giovanni mi senti?” Il ragazzo tentò invano di farsi capire.
“Scusa ne’ sono ad una partita- HANNO FATTO GOL, ti richiamo.” e con quella nota finale, per l’ennesima volta sentì il tut-tut di una chiamata finita.
Matteo posò nuovamente il nokia, sospirò, si sedette sul water chiuso prendendosi la testa tra le mani e tentò di non cedere a pianti e lamentele disperati.
L’unica soluzione ora era prendere l’autobus, andare alla biblioteca pubblica e pagare per utilizzare il computer pubblico per cercare le pronunce online: un inferno.

 

Nel frattempo, a neanche un chilometro di distanza, un altro magico duo stava passando l’intervallo a mangiare, soprattutto uno dei due. Infatti Matteo Salvini stava allegramente gustando il suo panino che la mamma gli aveva preparato con tanto amore per merenda. Si, nonostante i suoi quasi 20 anni e almeno 7 di superiori, la madre ancora gli preparava panini e pranzi vari per scuola. Inoltre, come se questo non fosse abbastanza per nutrire il grande bambinone, aveva anche Silvio che gli dava spesso e volentieri qualcosa, come ai cani, insomma. Infatti anche Giorgia stava mangiando lo snack che il signorotto aveva lasciato quella mattina ai due in auto, dei paninetti fatti con il pancarrè farciti con prosciutto di alta classe, probabilmente quello da 50€ all’etto, e maionese non del supermercato ma di qualche bottega super altolocata. Di solito dava loro anche la fruttina a cubetti in barattolo, per tenerli sani e forti come gli diceva sempre per sfruttarli meglio, ma quella mattina era di fretta: ovviamente ignorò le domande curiose di Salvini che gli chiedevano il motivo, e quindi erano senza la loro fonte quotidiana di vitamine.
Matteo masticava i suoi bocconi solo soletto nel suo angolo, perchè dopo aver cambiato classe così tante volte non si era reintegrato benissimo. Spesso qualcuno lo salutava, ma non era altro che qualche conoscente a cui aveva parlato di ponteggi o camion, che spesso lo evitavano per non cascare nuovamente nei suoi strani monologhi. Da altre persone, invece, riceveva piccole occhiatacce o sguardi impauriti mentre camminava per i corridoi nella sua intera statura.
Era un essere semplice lui, mangiava pensando semplicemente alla consistenza e alle essenze della sua merenda, stranamente felice di avere due panini. La sua allegra pausa venne interrotta da una notifica sul suo nokia, un contatto salvato come ‘Giogio’ aveva inviato un bellissimo: “Bro, domani si va in discoteca”.
Matteo scosse le spalle tra sè e sè: poteva andare peggio, pensò mentre rispondeva con un "sì, va bene.” e subito ripose il dispositivo nella tasca, continuando con la sua task del mangiare e fissare il vuoto come sempre, si lasciò trasportare dai pensieri.
Beh, in discoteca avrebbe potuto finalmente rimorchiare un po’ e portare qualcuno a casa dopo tanto tempo. Però avrebbe potuto anche incontrare qualche membro di gang e non stava aspettando gioiosamente quel tipo di incontro, soprattutto perché erano degli scapestrati incivili; spesso gli toccava assentire con frasi fatte e troppo superficiali che sì, erano più facili da accettare, ma non sempre erano ciò che veramente sentiva dentro il suo animo. Preferiva un tipo di compagnia come la sua Giorgia, con cui esprimeva liberamente quello che gli passava per la mente, anche se poteva sembrare spesso e volentieri irritata dai suoi ragionamenti la maggior parte delle volte poco coerenti.
Scartando il secondo panino, si rilassò contro al muro dietro di lui, tornando a concentrarsi sul filo di pensieri. A volte si chiedeva se le sue ideologie non fossero insensate o troppo crudeli, ma Silvio gli diceva quando esagerava quindi lui si preoccupava un po’ meno. “Il boss sapeva cos’era bene e cosa no", si disse con tranquillità mangiucchiando ancora un pezzo di panino “e finchè lui apprezzava la loro compagnia e loro la sua, tutto andava bene”. Anche se certe volte le altre persone lo guardavano male per le sue battute non importava veramente. Finì con un sorrisetto la sua merenda e, alzandosi, si trascinò verso la sua classe per un altro paio d’ore di lezioni noiose.

Dall’altra parte del telefono, la sua amica sbuffava irritata dalla risposta semplice che Matteo le aveva dato, senza emozioni e senza neanche un briciolo di entusiasmo nelle sue parole. Una volta che Giorgia aveva un’idea carina per il weekend, lui non apprezzava mai a pieno: evidentemente gli piaceva di più essere sfruttato da lei al supermercato per prendere il cibo nello scaffale alto. Spesso si preoccupava per la sua socialità, lei si era accorta che era distante anche da quelli che chiamava amici e la gang con cui usciva non era delle migliori.
“Giorgia, qualche problema con il tuo fidanzato?” chiese una voce femminile stridula di una ragazza accanto a lei. Quella puttanaccia non le stava nemmeno simpatica, ma era tra le scelte migliori in scuola. Berlusconi le aveva insegnato a farsi più amici possibili, meglio che averli contro, ma soprattutto poteva sempre tenere sotto controllo i gossip di scuola. Erano peggio delle vecchie peppie del quartiere, sparlavano tutto il tempo di chiunque le passasse davanti ed erano temute dall’intero complesso scolastico. Una mossa veloce e spense il dispositivo, riponendolo nella tasca dei suoi leggins.
“Ma chi? Matteo? Non sono così disperata, ti prego.” insinuò con un tono disgustato al solo pensare a una relazione con quel bambinone: era quasi come un fratello minore, anche se era letteralmente il doppio di lei e pure più vecchio.
Le quattro scoppiarono in una fragorosa risata da ragazzine in mezzo al corridoio.
“Hai ragione, è molto meglio quel fregnone di Giuseppe me lo cavalcherei tantissimo.” insinuò un’altra con un lessico poco delicato quali erano. Facevano spesso battute sporche che la maggior parte delle volte non si rivelavano tanto scherzose.
“Ma lo sapete che qualche settimana fa ha quasi fatto a botte con lo scout al pub.” ridacchiò la terza, persa nei pensieri “Anche lui devo dire che non è niente male.”
“No ew! Quei due froci li vedo ogni settimana in chiesa che si lanciano sguardini manco volessero limonare pesantemente! Come fa a piacere a tutti quello stupido avvocatello gay, non è nemmeno bello.” sbottò come se avesse una forte rabbia repressa dalle solite scene che si doveva sorbire la domenica pure davanti al povero Gesù. Dio solo poteva perdonarli dai peccati, poverini, quasi le facevano pena. Le sue amiche rimasero basite dalla sua affermazione, le loro bocche spalancate. Poi un forte chiacchiericcio si alzò dal gruppetto, le tre che facevano domande a Giorgia come se per loro fosse nuovo l’essere omosessuale di Conte. “Ma da quando?” “Com’è possibile? E’ bellezza sprecata.” “Perchè ha scelto quello scout sfigato a qualche bella ragazza, non capisco.” “Non ci sono più gli uomini veri di una volta, ormai sono tutti deviati.”.
La campanella suonò e distrasse le piccole pettegole dalla loro sessione di gossip compulsiva.
“Mi impegnerò a dirlo a più ragazze possibili, così evitano di innamorarsi perdutamente di quella causa persa.” tutte insieme annuirono concordanti mentre si salutavano allegramente avviandosi verso le loro aule: avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di perculare qualcuno.
In un momento di lucidità dal suo solito cipiglio e stress con la vita, Giorgia, osservando il gruppo allontanarsi, si rese conto di aver fatto una cazzata. Le voci avrebbero impiegato veramente poco prima di diffondersi allo scienze umane, agrario fino al classico. I suoi occhi azzurri sgranati che fissavano un punto del muro, forse qualche crepa, mentre numerosi scenari le passavano per la mente fra cui l’arresto. Ma alla fine erano le stupide pute che non potevano proprio fare a meno di farsi i cazzi degli altri.
Una voce gracchiante e incredibilmente fastidiosa interruppe i suoi pensieri con un forte brottolare. Un vecchio, il suo prof di storia, stazionava all’ingresso dell’aula lanciando occhiatacce pungenti, le sopracciglie aggrottate e un espressione burbera da stronzo qual’era.
“Non stia lì immobile signorina Meloni, avanzi e ritorni al suo banco che oggi le aspetta una verifica sull’illuminismo”. Un sussulto sconvolto si sentì provenire dalla sventurata ragazza mentre il suo odio verso la storia aumentava: che grande figlio di puttana! Era ormai abitudine fare test a sorpresa senza nemmeno finire il capitolo in classe. Il professore si approccia tranquillamente alla cattedra, lei lo seguì a ruota mentre gli scuoteva alle spalle due grandi diti medi con furia, che rappresentavano perfettamente le sue emozioni e non solo.

Perfino per Silvio Berlusconi oggi era un giorno da dimenticare. Finalmente si sedette su una panchina al parco, permettendosi addirittura di posare i suoi pantaloni di alta sartoria su tale oggetto ad uso della plebe rischiando di macchiarli con qualsiasi cosa si trovasse lì sopra. Dopo un giorno passato a fare commissioni per il padre in giro per l’intera città, veramente poco divertenti, sospirò standosene qualche secondo in silenzio come se ammirasse il paesaggio. Non aveva nessuna voglia di staccarsi da lì solo per trovare in macchina, appoggiata sul cruscotto, la lunga lista di faccende ancora da svolgere. Nella sua testa passò un unico pensiero, comune a tutti, che espresse con una grande chiarezza: ”Ma che giornata di merda.”

Notes:

Questo capitolo è come il giorno prima della tempesta, tutto tace, quieto e fermo, le acque tranquille di un lago che a lungo andare vengono percosse dal vento irregolare; le nubi che incombono grigie e minacciose in cielo, il fruscio fioco delle fronde e il fogliame lamentoso suona di sottofondo ad un'agghiacciante atmosfera fosca.

Niente spoiler, solo tanto trash.

~M

 

P.S. un altro video di noi che facciamo cose lmao (dura tantissimo): https://youtu.be/b6YI-hhjksQ